La parola a Giovanni Guffanti “allevatore di formaggi”
Se nel contesto lattiero-caseario, nomini la parola “Affinatore”, la risposta immediata è spesso: “Guffanti”.
Carlo e Giovanni Fiori, rispettivamente quarta e quinta generazione, eredi – non solo nel senso familiare ma anche di “saperi” – di quel Luigi Guffanti che nel 1876 iniziò la propria attività rilevando una miniera d’argento abbandonata in Valganna, nella quale stagionava i primi formaggi. Con i suoi figli Carlo e Mario, i formaggi Guffanti iniziarono a calcare le orme degli emigranti lombardi e piemontesi, che all’inizio del Novecento andavano affluendo verso l’America. Nuovi mercati per nuovi prodotti. A distanza di un secolo e mezzo, è Giovanni a voler specificare cosa significhi oggi essere “affinatore”, o, utilizzando un termine che lui e il padre prediligono, “allevatore di formaggi”.
“L’affinatore è colui che acquista da un casaro un prodotto già pronto e ha il compito di gestirlo in cantina portandolo, nei mesi o negli anni, a un livello tale da esaltarne appieno le caratteristiche organolettiche”.
E’ interessante, a questo punto, scoprire come hanno saputo gestire questa preziosa attività durante l'anno del Covid.
“Noi lavoriamo in esclusiva con piccoli casari artigianali ai quali ritiriamo ogni anno l'intero prodotto. Da marzo, con la chiusura delle attività, ci siamo trovati a fronteggiare con loro una problematica su più livelli: etica, morale, commerciale. Non ce la siamo sentiti nemmeno per un secondo di voltare loro le spalle e abbiamo provveduto, come ogni anno, a ritirare la loro produzione. Un segnale forte anche per stimolarli a non mollare l'attività o a vendere gli animali. Mantenendo così saldo non solo il rapporto commerciale ma anche quello di fiducia reciproca”.
E poi, che azioni avete messo in essere per la gestione della stagionatura nelle vostre grotte? “Ecco il secondo problema che si è trasformato subito in una opportunità. Cioè quella di sperimentare nuovi tempi di invecchiamento (da 1 a 2 anni) dei vari Bettelmatt, Bagoss, Gorgonzola, tome, ecc. Modalità che non erano mai state messe in atto per mancanza di tempo nel caos quotidiano che assorbe ogni imprenditore. E i risultati sono stati davvero sorprendenti. Soprattutto per il Bettelmatt e per la vasta teoria delle tome d'alpeggio. Oggi abbiamo in casa i formaggi degli alpeggi 2019 (oltre che del 2020) e i vari assaggi inducono a essere molto ottimisti in termini di qualità assoluta e di caratteristiche organolettiche e sensoriali inedite e di pregio. Se proprio devo trovare una problematica in essere è quella logistica, in quanto dobbiamo trovare spazi adeguati nelle cantine a un numero assai maggiore di forme di formaggio, rispetto a quelli ai quali ci eravamo abituati”.
Segnali davvero incoraggianti. Bene. Invece cosa ci dici del trend di vendita?
“Se dal punto di vista professionale e umano le soddisfazioni non sono certo mancate, dal punto di vista commerciale, invece, le perdite ci sono state. Ma anche in questo caso, non è tutto da buttare via. Se interi mercati – quello delle esportazioni in primis – si sono ridotti al minimo, al pari delle forniture ai ristoranti e del banqueting, abbiamo incrementato in modo molto significativo la vendita di forme di formaggio alle gastronomie e alle boutiques del gusto di tutta Italia. E non solo. Dati confermati anche nel nostro spaccio di Arona, che ha registrato un afflusso di consumatori mai osservato prima...”
Quale può essere allora il messaggio finale di buon auspicio per il futuro?
“Mi permetto di fare non una, ma due considerazioni. La prima è che nel periodo di restrizioni, la gente ha preso coscienza di una precisa responsabilità anche in termini di ricerca costante di qualità e di filiera di ciò che acquista e consuma. La seconda, importantissima dal punto di vista professionale, è che il trinomio LATTE - CAGLIO - SALE ha evoluzioni inesplorate ancora tutte da scoprire!”.