La storia e la ricetta del peposo, sorta di spezzatino tipico della Toscana

«Chi mai sì duro o sì invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?»
(Leon Battista Alberti, De pictura)

La testimonianza, famosa e ben rappresentativa della grandezza dell’uomo e dell’opera, ha bisogno di un chiarimento storico e di un passo indietro: Impruneta, località nei pressi di Firenze, da sempre è famosa per il suo cotto, materiale di grande pregio che connota giare, orci, anfore, mattoni e tegole e, ancora ai giorni nostri, contraddistingue tanti casali non solo della campagna toscana. E, a Firenze, è superfluo parlare della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, progettata da Arnolfo di Cambio nel 1296 e terminata nel 1421. In questo percorso secolare (e chilometrico) tra l’Impruneta e il cuore di Firenze trova posto il peposo, sorta di spezzatino famosissimo in tutta la Toscana.
Voi direte, cosa c’entra uno spezzatino con il cotto e uno dei simboli dell’arte mondiale? C’entra eccome, visto che nel 1418, il bando per la costruzione della cupola di santa Maria del Fiore fu vinto da Filippo Brunelleschi e la manodopera della cattedrale era costituita proprio da fornacini di Greve in Chianti e dell’Impruneta i quali, essendo impegnati da mattina a sera nelle fornaci, incominciarono a inventarsi un pasto di fortuna mettendo quello che avevano dentro un orcio che, dall’alba fino al pranzo, era posto sulla bocca del forno a cuocersi lungamente e in modo uniforme. Il pasto consisteva nei tagli meno nobili di manzo come muscolo e zampetto, aggiunta di generoso pepe, svariati spicchi d’aglio e vino rosso, il tutto accompagnato da tanto pane. E proprio all’interno della cupola in costruzione, allo scopo di guadagnare tempo, il capomastro Brunelleschi – che gestiva anche gli operai e i loro tempi di lavoro – decise di creare due “mense”, facendo portare vino e peposo ai piani alti attraverso gli argani del cantiere, cosicché gli operai potessero mangiare senza dover scendere in osteria. Ed ecco quindi il “battesimo” e la diffusione di quello che ormai è noto come Peposo alla Fornacina.

La ricetta, di facile e paziente esecuzione, prevede pochi e basilari ingredienti: muscolo di vitellone, vino Chianti, chicchi di pepe nero in abbondanza, pane toscano a fette e, ovviamente, cottura che deve avvenire nella pentola di coccio. Il muscolo va tagliato a cubetti non troppo piccoli, quindi si aggiungono gli spicchi d’aglio “vestiti”, il sale e il pepe. A questo punto si copre con il vino e si lascia cuocere a calore dolce e costante per almeno 4 ore, fino a quando la carne non risulti estremamente morbida. Le fette di pane, sulle quali verrà adagiato lo spezzatino, completano questo piatto che, con la sua affascinante storia, “copre con sua ombra tutti i popoli toscani”.

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