La storia di un ragazzo pugliese e della sua passione da autodidatta per i cardoncelli. Straordinari.

Nella foto della brochure aziendale Rino Lionetti sembra un divo d’altri tempi, con l’eleganza d’antan e lo sguardo astuto di Fred Buscaglione. Una figura che quasi sembra stonare con la sua storia, quella di un ragazzo del Sud di 25 anni che, dopo aver studiato in Germania, molla tutto per tornare tra i campi di casa. Intervistandolo, la prima persona che nomina è il nonno e quei terreni che rischiavano di essere abbandonati. Siamo a Trinitapoli (Fg) nell'azienda Casal Manfredi (via P. Mattarella, 19/21 – tel. 3881459985 - Bt), alle spalle di Margherita di Savoia. Un paese a costante rischio di spopolamento, come spiega Rino.

La sua avventura inizia ufficialmente meno di un anno fa, anche se in realtà il suo studio dei funghi ormai sfiora il lustro. E parte non dai libri di scuola, ma dalle ricerche su internet e la costruzione di un piccolo laboratorio. Mette insieme gli strumenti in modo quasi pionieristico (l’incubatrice viene allestita con il plexiglas e le strutture da acquario), chiede consiglio a professionisti e medici e studia come autodidatta i ceppi del cardoncello delle Murge. Alla fine, dopo tanti tentativi andati a vuoto, ottiene miceti da scarti biologici (fondi di caffé, sansa di olio e scarti biologici in genere come la carne in cattivo stato di conservazione).

Così inizia la sua avventura, tra cardoncelli carnosi, di tante varietà differenti ( “I ceppi del cardoncello - ci spiega - sono oltre 4mila): tra le ultime scoperte, il cardoncello palmino, dalle dimensioni monstre, che cresceva nel periodo delle Palme “come una grazia” ed era pressoché scomparso. Ma Rino non si limita a coltivare. Recupera le ricette della tradizione, dai funghi conservati con l’olio extravergine di oliva dei suoi oliveti ai cardoncelli cotti su pietra lavica o con crema di pomodorini secchi a grappolo, o ancora crea paté di funghi ed erbe spontanee. La lavorazione avviene in un laboratorio di un’altra start up, così come home made è il packaging curato da lui.

I suoi vasi sono richiesti, stanno uscendo dai dintorni per approdare nei ristoranti di tutta Italia (infatti ha iniziato a produrre quelli da 1,5 chili). Ma le difficoltà sono tante: “Non arriva la corrente elettrica, nonostante le richieste” e si moltiplicano i furti (“A volte sono stato costretto a dormire nella serra perché non mi portassero via le attrezzature”). L’equilibrio però è precario e la voglia di andarsene tanta. Le spore sono estremamente delicate, volano. Accudirle e farle crescere, così come accade per una start up, non è semplice.

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