Condoglianze di Paolo Massobrio e Marco Gatti e di tutto il mondo di Papillon alla moglie Graziella e ai figli Mauro e Monica

Un sms al mattino di sabato, mentre da Montalcino stavo tornando a Milano, mi ha dato la notizia ferale: è morto Gianfranco Soldera, 82 anni compiuti da poco: un incidente con la sua auto che s’è schiantata contro un albero. Lascia la moglie Graziella e i figli Mauro e Monica. Lo voglio ricordare con quell’intervista rubata una sera di due anni fa, proprio in questi giorni, per festeggiare insieme, io e lui, i suoi 80 anni.

L’ho visto poi lunedi sera, a Milano, al Mudec, dove l’onorevole Maurizio Lupi, suo amico, lo ha coinvolto in un’asta di beneficienza a favore di un’opera di carità: la casa di Sam. E lui ha messo a disposizione tre Jeroboam e una McKenzie da 5 litri di quel Sangiovese 2010, scampato miracolosamente al vile attentato di un suo dipendente, che aprì i rubinetti di 10 botti.

La foto, con il bicchiere concepito con l’amico Rino Fontana, l’ho scattata lunedi, davanti a lui: sereno e felice.

Ma ecco la sua intervista di due anni fa.

Il suo Brunello di Montalcino è senza dubbio uno dei vini più buoni del mondo, ma questo lo dico io, che conosco Gianfranco da oltre 30 anni: i primi assaggi ai Castagni di Vigevano, poi le degustazioni con Rino Fontana a Sant’Espedito, le cene da Olga, a Montalcino, ad assaggiare la scottiglia con una bottiglia a testa del Brunello… come stasera (annate 1994 e 2006). Un Brunello che parla e cambia ogni 10 minuti, mostrando una complessità senza eguali. Il Brunello di Montalcino Case Basse 2000, poi, l’ho ancora in mente: aperto quando compii 50 anni era enorme. Ma in cantina, dalla botte, assaggio il 2013 e il 2015, che sono più di una promessa. 

Chi è dunque Gianfranco Soldera? Sicuramente un uomo di cultura, uno che si informa, che legge, e poi scrive (sua una rubrica sulla bella rivista Oinos, dove nell’ultimo numero parla della Brexit, e neanche in termini negativi). I suoi riferimenti sono il professor Mario Fregoni, ma soprattutto il professor Massimo Vincenzini, coi quali il confronto scientifico è costante. Ora sono di fronte a lui, nel suo studio, e gli faccio gli auguri con qualche domanda. 

Rimpianti a 80 anni? 
Avrei dovuto uscire dal Consorzio del Brunello molto prima di quando l’ho fatto. 

Ma non sarebbe stata una bella partenza? 

La qualità sono io. Punto e basta. 

Ovvia, e perché? 
Perché la qualità va curata, bisogna avere una grande terra ed essere rigidissimi. 

Come si fa qualità sempre? 
Buttando via tutto ciò che non è buono. Guarda qui (e mi mostra delle fotografie dove gli acini scartati vengono buttati in vigna. E sono tanti). Io in un anno faccio 6 mila bottiglie; in un altro 25 mila. Oppure mi attesto sulle 15 mila. Potrei farne 70 mila, ma se io scelgo acino per acino trovo molto da scartare e quindi mi tengo solo quello che vale per fare un grande vino. Se non fai così come puoi avere un grande vino tutti gli anni? 

Quanto dura la vendemmia? 
Tre giorni, tutto passa da una diraspatrice e da una scelta manuale: solo acini perfetti e col calibro giusto. 

E poi? 
Poi lieviti miei, nessun controllo delle temperature, tini di legno. 

E la barrique?
Cosa hai detto? Ma se uno ha bisogno dei tannini del legno e dei suoi profumi cosa fa il vino a fare? Il vino si fa con l’uva… Con gli acini maturi, poi vinifichi coi tuoi lieviti indigeni a temperature alte (37-38°) e non hai bisogno di altro. Semplice no?

E la bottiglia? 
Prendila in mano, è vuota... 

Pesa un bel po’... 
Sono 750 grammi vuota, il vetro è scuro ed ha un pigmento che regge i raggi ultravioletti. Ma anche l’internocollo è curato e dal 1982 ho già cambiato tre stampi per produrre bottiglie. 

Credi nell’affinamento in bottiglia? 
Io non credo a un ca..o 

Prego? 
Una volta che il vino è uscito dalla botte non subisce shock: non faccio filtrazione e neppure chiarifica. 

Domanda difficile. Quali sono i produttori di vino che stimi di più? 
Gravner. Poi Loris Folador, Quintarelli, Roberto Conterno, Mauro Mascarello, Beppe Rinaldi. 

E in Toscana? 
(silenzio, mi guarda come uno che ha fatto una domanda irricevibile). 

Recentemente sono stato in Giappone, e un paio di volte ho intravisto il tuo vino, in proporzione più che in Italia. 
Semplice: non vendo più in Italia. 

Come mai? 
La maggior parte della ristorazione non capisce di vino. Una volta vendevo 50 e 50. Ora solo il 3% in Italia e il resto fuori. 

Vabbè mi sembra esagerato… 
Ma Paolo, con il mio vino non vive nessuno. Il problema è che neanche con le materie prime autentiche vive la ristorazione. 

E chi c’è il quel 3%? 
Se vuoi un nome te lo faccio: il Fulmine di Trescore Cremasco. Ma lì c’è coerenza fra materie prime e vino.  

Quanta soddisfazione a sapere che il tuo vino è apprezzato... 
Tanta, ma soprattutto di gente che non beveva più, che aveva problemi di stomaco e col mio vino si è sentita bene. Per me questa è soddisfazione: coerenza dalla vigna alla digestione. 

La sera mangiamo insieme, in un’osteria, con materie prime che ha procurato lui: pancetta e coppa del Val Tidone (due vassoi), una crema di ceci con pasta fresca e il suo olio Evo; un risotto croccante preso nel parco del Ticino. E si beve la Ribolla di Gravner, il Prosecco di Loris, i suoi Brunello. Digestione perfetta.

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