Parte dalla farina per arrivare fino al topping il percorso di innovazione dell'ideatore di Pizza Gourmet

Parlare di innovazione e pizza contemporanea a un pizzaiolo napoletano non è sempre facile. Nella patria della pizza margherita infatti, il culto della tradizione di questo piatto è molto radicato. Per questo ci siamo sorpresi parlando di pizza con un napoletano doc, come Giuseppe Vesi (classe 1966), ideatore di Pizza Gourmet (le pizzerie di via Michelangelo, 77 e via Caracciolo, 13 a Napoli), ad ascoltare idee estremamente favorevoli al cambiamento e che non temono di dissacrare un mito. Giuseppe Vesi si racconta così:
Sono figlio di pizzaioli, lavoro gli impasti da quando ho 12 anni e abbiamo sempre gestito pizzerie del centro storico di Napoli. Per oltre 25 anni ho preparato ogni giorno la pizza classica napoletana, come facevano tanti altri miei colleghi, seguendo una ricetta rigorosa, che è stata fissata con gli anni nel disciplinare della pizza napoletana Stg (specialità tradizionale garantita) della regione Campania. Poi negli ultimi 4-5 anni ho deciso di cambiare il mio modo di fare la pizza.

Cosa l'ha spinto a cambiare strada? Il bisogno di nuovi stimoli?
Sì anche, ma principalmente l'amore per la pizza. Un piatto della tradizione ancora così vivo e vitale, non poteva essere chiuso secondo me in una simile staticità e omologazione. Io penso che la pizza delle origini, quella storica che è stata documentata durante il 1700, non fosse preparata con farina raffinata 00 per intenderci e non ponesse nemmeno tutte queste regole di uniformità, alla creatività del pizzaiolo. Credo che i vari pizzaioli dell'epoca la preparassero con farine anche di tipi diversi e si affidassero alla loro esperienza e intuizione per farla riuscire buona e gradevole. Quindi ci dovevano essere, all'origine della vera pizza napoletana, una varietà e libertà che oggi tanti pizzaioli, che replicano sempre la stessa ricetta da anni, hanno perduto. 

Come ha deciso di innovare la sua pizza?
Quando ho deciso di scoprire un modo diverso di fare la pizza sono partito dal suo ingrediente principale: la farina. Mi sono allontanato da quella raffinata e ho deciso di conoscere le macinate a pietra e integrali, così mi si è aperto un mondo. Ho sperimentato nuovi impasti con le farine Petra 1,3 e 9; mi sono iscritto all'Università della pizza con mio figlio Simone, e ho conosciuto le lunghe lievitazioni con levito madre, la possibilità di idratazioni superiori negli impasti e di preparare pizze più leggere e digeribili, infine la possibilità di esprimermi creando nuovi topping per la pizza.

Vuole raccontarci qualcosa di questi nuovi topping per le sue pizze contemporanee?
Certo, oggi propongo 30 tipi di pizze diverse. Dei grandi classici della tradizione ho mantenuto le storiche margherita e marinara. Per il resto ho iniziato un lavoro di ricerca sugli ingredienti e le loro armonizzazioni per il topping. Ci sono tanti buoni prodotti italiani e produttori, di cui cerco sempre di conoscere a fondo il lavoro, che meritano di essere proposti su una pizza e la possono rendere davvero unica. Io sono stato conquistato, per esempio dalle alici del Cilento pescate con reti di menaica; dai prodotti di maialino nero casertano; dalla 'nduja di Spilinga; dal provolone del Monaco, dai pomodorini del piennolo del Vesuvio, dai capperi di Salina... Sulle mie pizze mi piace mettere questi prodotti, che però non rientrano abitualmente nei gusti omologati delle farciture per pizza cui siamo abituati (la pizza capricciosa, la 4 stagioni ...), quindi richiedono per esprimersi al meglio un lavoro di bilanciamento dei sapori, che può comportare più prove.

Ci può fare due esempi di topping ben riusciti secondo lei?
Il mio cavallo di battaglia è stata a lungo la Fantasia di colori e sapori che presentava tre pomodori d'eccellenza campani come il Corbarino, il Piennolo e il pomodorino giallo del Vesuvio abbinati alla mozzarella e alla ricotta di bufala campana.  Un'altra pizza di cui vado orgoglioso poi è la pistacchio di Bronte, con pistacchi di Bronte, provolone di Agerola e mortadella di Campotosto.

Ora lei gestisce due pizzerie a Napoli (via Michelangelo, 77 tel. 081 2292227 - via Caracciolo, 13 tel. 081 668794 ) e una a Milano (via Ugo Bassi, 8 – tel. 02 23058577): come l'hanno presa i napoletani tutta questa innovazione della pizza?
I miei clienti napoletani hanno capito e l'hanno presa come una bella novità. Sono felici di sentirsi raccontare finalmente la pizza in modo nuovo, perché nel proporre il cibo oggi è anche importante la narrazione e la pizza napoletana classica, ormai uguale a se stessa da anni, non viene più narrata. Sono diventati più difficili invece i rapporti con i miei colleghi. Due anni fa sono stato ospite alla trasmissione 4 Ristoranti di Alessandro Borghese, dove ho rappresentato l'innovazione della pizza napoletana contro la tradizione: la querelle fu molto accesa.
Io comunque non tornerei indietro, sono partito dal provare a cambiare le farine dell'impasto e la mia pizza è cambiata completamente, ora ho in mente un nuovo progetto. Un locale vicino a piazza del Duomo, dal nome Grani Antichi, dove proporrò una pizza preparata con farina di grano Carosella, un antichissimo grano del Cilento, che macinerò direttamente a pietra sul posto. Insomma ancora una volta torno alla farina, un mondo tutto da esplorare.

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