Il racconto di Marco Gatti di uno dei padri del vino italiano
"Voglio fare una raccomandazione a tutti i miei colleghi più giovani: tenete da parte delle bottiglie, soprattutto quelle delle annate più buone, perché vedrete che vi saranno utili e che faranno parlare di voi anche dopo decenni. Perché l’importanza di una zona enologica si dimostra quando si possono stappare delle bottiglie di 20, 30 o 40 anni e scoprire che sono ancora più buone di quando sono state messe in commercio, come hanno ben dimostrato i francesi".
Queste parole, di Bruno Giacosa, ci son venute in mente l’altro giorno, quando ai tavoli di un ristorante, abbiamo avuto la fortuna di stappare un suo Barolo Falletto di Serralunga d’Alba 1995. Man mano che si donava, profumi di somma finezza di tartufo, tabacco, viola appassita, goudron. Di colore granata, che ricordava il Duomo di Alba al tramonto, in bocca era vivo, addirittura scalpitante, caldo, come un abbraccio pieno di affetto, di personalità affascinante, piena di mistero, un capolavoro.
Uno dei vini migliori assaggiati in questi anni. Un’emozione. Bruno Giacosa è stato celebrato in ogni modo, e la lista dei riconoscimenti da lui ricevuti è infinita. Eppure, per il carattere schivo, caratteristico di chi è figlio della terra di cui lui è alfiere senza eguali, non fa parte di quegli uomini del vino che fanno collezione di copertine sui giornali o servizi televisivi. Quasi a disagio, quando tirato a forza sotto i riflettori, si tratti di un palcoscenico o di un set fotografico. Alle luci della ribalta ha sempre preferito le uve, le vigne, la cantina, l’assaggio.
È nato nel 1929. È l’anno in cui è morto suo nonno Carlo, sin da fine ottocento produttore, e di successo, viste le medaglie d’oro ricevute a Genova nel 1901, a Torino nel 1902, a Reims nel 1903 e a Bruxelles nel 1910, ed in cui è subentrato nell’attività suo papà Mario. Ma è anche l’anno della grande crisi. Motivo per cui suo padre, deciderà di non imbottigliare più e di dedicarsi alla vendita e all’acquisto delle uve. È stata la sua scuola. Per tutta la sua vita non ha fatto altro che ricercare il meglio, nel rispetto dei consumatori. Oggi, affiancato dalla figlia Bruna, appassionata ed entusiasta portabandiera delle eccellenze di casa in tutto il mondo, al pubblico propone, con i suoi sontuosi Barolo e Barbaresco, quel rosso della sua predilezione che è il Dolcetto, nella sua versione di grande eleganza, un notevole Spumante Extra Brut, sintesi felice di carattere e finezza, un pregevole Nebbiolo e una gustosa Barbera. Questa storia è la storia di Bruno Giacosa, certo. Ma questa storia vale la pena di essere raccontata perché fa ragionare su quale sia la strada che dovrebbe perseguire il mondo del vino italiano. Con vini frutto, vini cipria, vini bibita, ovvero con quei prodotti che Giacosa ha sempre rifiutato – rinunciando a guadagni immediati, al piatto di lenticchie, insomma – vini cosiddetti facili che molti ritengono possano essere la strada per battere la crisi, non si va molto lontano. Con la grande qualità. Con i sacrifici. Con l’eccellenza che sfida gli anni. Il futuro non fa paura. Anzi, diventa quello che viene è il tempo atteso della raccolta.
Bruno Giacosa
Neive - via XX Settembre, 52
tel. 017367027