Lo chef è Noda Kotaro, la cui cucina è un crocevia di culture, professioni e fantasie. E presta la sua creatività in un bistrot che è già di valore

Ancora un locale entusiasmante a Roma, ancora un’esperienza da raccontare. Siamo in zona Flaminio, Parco della musica, in via Calderini 64 dove apre da poco più di un anno questo Bistrot 64 (tel. 063235531) che ti accoglie già da fuori con una lavagna che racconta la filosofia “Per quelli che pensano che i ristoranti siano troppo cari… per quelli che amano le sorprese… per chi vuole avvicinarsi alla cucina gourmet, e non ha mai osato farlo. Per quelli che pensano di essere troppo giovani per andare a cena fuori e per quelli che vogliono venire tutte le sere. Per quelli che vogliono rilassarsi e dire: fai tu, Chef!”. Entri e subito ti chiedi, a vedere il locale pieno di gente un martedì sera, come abbiano fatto a sapere, tutti questi giovani, che qui si sta bene. C’è una grande sala con vari ambienti, ci sono i posti attorno al bancone che abbonda di buone bottiglie di vino. Ma c’è anche la Focaccia di Tabiano, l’orzo perlato speciale, insomma una serie di prodotti degni del Golosario che denotano una certa passione per la materia prima.

In sala il giovane Manuele Cozzo, in cucina questo simpatico chef giapponese, Noda Kotaro, che a Viterbo raggiunse la stella Michelin al ristorante La Torre. Oggi è qui, con altri giovani che vanno e vengono, a porgere un piatto di eccellente creatività oppure un calice di vino (perché qui si beve anche a bicchiere). La carta dei vini è speciale, non solo per le buone etichette italiane (molte piemontesi abbiamo notato), ma anche per certi vini della Borgogna e dell’Alsazia.

Venite allora qui, senza indugio, venite in questo “faccino radioso” di Papillon per fare un’esperienza. Subito in tavola ti portano dei bottoni di pane al cacio e pepe, crackers fatti in casa ma anche una pagnotta realizzata con la farina Petra 1 del Molino Quaglia di Vighizzolo d’Este (ci mancava l’olio, e il servizio sarebbe stato perfetto). Come entrée ecco una mousse di cavolo romanesco con impepata di mandorle. Poi dal menu si può scegliere la degustazione a 35 euro “La tradizione in evoluzione" (crocchette di ceci e capesante al finocchietto; lombricelli con spinaci, cavolo cappuccio e baccalà mantecato, roll di cinghiale, lardi e crema di tartufo, dessert a sorpresa). La degustazione di 4 calici di vino è a 15 euro. Il menu “Tradizione e Innovazione” ha sette portate e costa 50 euro e 7 calici valgono 35 euro. Alla carta noi abbiamo assaggiato una straordinaria tempura di cardo su fonduta di taleggio di bufala e granita di ostriche, accanto a spaghetto di patate al burro e alici e crudo di manzo alla puttanesca come antipasti. Di primo era eccellente il cous cous con granciporro, alghe di mare e pesto di mandorle, in alternativa al risotto con coda doppia e cappelletti di coniglio in brodo di anguilla. Ci sono però anche i tre primi della tradizione: amatriciana, carbonara, cacio e pepe. A 10 euro (onesto anche perché più economico degli altri piatti creativi). Di secondo sarà fantastico il piccione in foglie di ciliegio con crema di cicerchie e bietta, ma anche la mattonella di faraona, cicoria e cavolo nero. C’erano anche arzilla e broccoli, e tagliata di presa iberica e Lapsang Souchong. Anche i dolci saranno creativi spinti: finto tiramisù con radice di cicoria, aglio nero e peperoncino (prova coraggio?), oppure nudi di ricotta e crema di nocciola, mela cotta nel vin brûlé con sorbetto al latte di mandorle, semifreddo di carote e cioccolato bianco al forno. Siamo stati molto bene, ci siamo divertiti e l’accoglienza è stata col sorriso. Anche il conto è stato col sorriso.

 

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