Un giorno di inizio di giugno, dopo le 9, a quota 1400 metri; siamo all’Alpe Muanda. Salgo gli ultimi tre scalini di pietra durissima e prendo fiato. “Ehi, non è mica finito!” La voce di Renzino arriva dall’alto della mia testa. Lui è un mio vicino di casa che alleva una cinquantina di pezzata rossa d’Oropa, una razza autoctona da latte e da carne. “Vieni con me?” Non posso che dire di sì ed entro nella stalla, strascicando i miei piedi appesantiti. È la prima volta che parlo con Renzino. Durante lo spostamento non ho avuto molto tempo per chiacchierare con lui, ma quelle sue poche parole erano chiarissime, calde e amichevoli insieme.
Di solito lui non sta in alpeggio. Quando ci andiamo a prendere le tome ci aspetta sempre Renata, sua moglie. In alpeggio vivono lei e Tiziana, la figlia, mentre lui e Pietro, il figlio, durante l’estate rimangono a Biella a preparare il fieno. Dandomi la schiena, nella stalla dal soffitto così basso che si può toccare con le mani, attacca agli anelli un vitello dopo l’altro con gesti consumati e mi chiede “Allora, ti è piaciuto?”. Annuisco ancora una volta e capisco che la mia prima transumanza, da Sordevolo all’alpe con i vitelli, è terminata.
“Heidi, la ragazza delle Alpi” è un cartone animato degli anni ’70, basato sull’omonimo romanzo per ragazzi scritto da Johanna Spyri, una svizzera. Quasi tutti i Giapponesi conoscono questa storia e ancora oggi, per poter contemplare il paesaggi idilliaci in cui correvano Heidi e il suo amico Peter, molti si recano in Svizzera. Ma devo dire che qui nel Biellese, a più di cent’anni dalla pubblicazione del libro, si trova ancora gente che fa una vita del genere. Me ne accorsi quando cominciò la stagione della transumanza, qualche mese dopo il mio arrivo a Sordevolo. Vidi i nostri margari che portavano con aria fiera le loro mucche verso la montagna. Ammiravo soprattutto le loro donne, che diventarono immediatamente i miei idoli. Al mattino presto, da sotto le coperte comode, salutavo mentalmente le mandrie che, al passaggio, suscitavano una pioggia di campanacci e i loro pastori, ma avrei voluto un giorno accompagnarli; non mi ricordo più da quando, ma possedevo anche un “patelavachi”, la canna da margari per battere le mucche.
I passi delle mucche sul piano erano molto più veloci di quanto immaginassi e bastava un attimo di distrazione per finire in fondo alla mandria. Soffro di pressione bassa al mattino per cui, dopo un 1 km dalla partenza, avevo già il fiato pesante e cominciavo a pensare a qualche scusa per tornare indietro, ma qualsiasi scusa mi faceva vergognare. Non dovetti dirgli una stupida bugia solo perché, quando cominciò la salita ripida, il passo delle mucche rallentò. Solo camminando insieme alle mucche ho conosciuto il loro cammino. Nel frattempo avevamo oltrepassato un bosco e si aprì il cielo e vidi in basso la pianura biellese, ricca di verde. A me piace quel suo verde dolce composto da faggi, betulle, castagni e tigli. Al di là della città si vede la Serra, che taglia il cielo all’orizzonte e ci lascia un’impressione immensa di liberta, quasi pari a quella dell’oceano. I Biellesi amano le loro montagne e, in una giornata calda e serena come quella, molti passavano davanti all’Alpe Muanda e alcuni si fermavano a comprare le loro tome. Ma sapete in quanti giorni nei 4 mesi estivi può succedere questo? Pochissimi potrebbero immaginare che Renata e sua figlia trascorrono la maggior parte della loro vita all’alpeggio da sole, loro e le mucche. Renata faceva la maestra di scuola elementare. In un fine settimana uscì con le amiche a ballare e conobbe Renzino. Lasciò il suo mestiere e provò a fare la vita da margara e oggi, dopo più di 30 anni, organizza 4 transumanze all’anno perché, secondo le stagioni, si spostano dai 400 m s.l.m. di Biella ai 700 di Sordevolo, per passare infine ai 1400 dell’Alpe Muanda, sempre continuando a fare formaggio e burro. Al mattino presto cominciano a pulire le stalle, portano le bestie al pascolo, le mungono e producono formaggi. Non sanno cosa sia una vacanza estiva. Già questo fa capire che non è un lavoro per tutti, ma c’è in più il tempo capriccioso della montagna, la nebbia e i temporali con tuoni e fulmini, che se non li hai provati lassù non sai cosa siano. Quando si vedono le nubi nere formare un cappello attorno alle cime, anche le amiche più care, che non vedevano da tanto tempo, le costringono a scendere giù dalla montagna. Così a un tratto ritorna il tempo del silenzio che si sentono solo versi di mucche, lievi gemiti di vento e i fischi di avvertimento delle marmotte.
Mentre facevamo due chiacchiere davanti ad una tazza di caffè caldo, capitò che Renata mi raccontasse della sua solitudine. “Tiziana si è convinta di continuare a fare questo mestiere?” Le chiesi. “Questo non lo so. Ma siccome anche lei è in un’età in cui vuole divertirsi un po’, se mi dice che vuole andare al mare con gli amici, come potrei dirle di no? A volte anche lei preferisce dormire laggiù e rimango sola, così mi pento della mia scelta di fare l’alpeggio. Ma sai, anche Tiziana è una che conosce ogni pietra di questa montagna…” Per qualsiasi mestiere si può dire che se non lo continui esso sparisce. Tuttavia il lavoro di pastore, se lo smetti un giorno, non esiste più il giorno successivo. Se smetti la transumanza per un’estate, l’estate successiva non si farà. Così la tradizione della transumanza, orgoglio dei margari biellesi, non esisterà più. La scelta è spietata e non fa sconti.
Tuttavia esiste anche gente per cui una vita del genere sarebbe un lusso. Sono i sopravvissuti dal massacro di Srebrenica in Bosnia nel 1995. Hanno perso la cultura della pastorizia, non hanno stalle adeguate per le mucche e nemmeno conoscono quale erba sia da mangiare per le bestie e quale no; così fanno fatica ad avere il latte in quantità sufficiente. Con l’aiuto degli amici del Club Papillon, il Sig. Gianni Rigoni Stern sta portando avanti un suo progetto denominato “Transumanza della pace” allo scopo di migliorare la vita di quella gente, non solo regalando le mucche, ma anche, di conseguenza, dando lezioni di allevamento. Mi ha commossa e stupita questa grande opera di sostegno che ha legato la transumanza, una tradizione pastorale che consideravo come evento gioioso, ad una realtà durissima; ma allo stesso tempo ho provato ammirazione nel vedere quanti italiani abbiano compreso l’importanza di questo progetto e stiano dando una mano, con il nostro Paolo Massobrio impegnato in prima persona.
Qualche giorno fa mentre portavo un sacco d’immondizia al cassonetto vicino a casa, è passata al mio fianco una moto da trial alla massima velocità. Chi c’era su, senza voltarsi, ha alzato una mano per salutare e si è allontanato verso le montagne. Aveva il collo della camicia chiuso fino all’ultimo bottone per appendere il “patelavachi” sulla schiena. Era Renzino che andava dalla sua Renata alla Muanda. Ci vorrà ancora tantissimo tempo prima che i Bosniaci possano avere una vita pastorale ricca come la loro. L’attività della Transumanza della Pace deve completare i lavori di oggi per poter continuare anche domani.
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