Parafrasiamo Ruggeri per raccontare Marco Sacco lo chef “più famoso ad Hong Kong che in Italia”, che porta la sua (alta) cucina negli store. Come “cibo di strada” versione luxury

“Quando andrò in pensione, tra una decina d’anni, ho già detto a mia moglie che vorrei attrezzare un camper, modello Overland, con una cucina dove proporre i miei tre piatti storici: Carbonara au Koque, L'anguilla, Flan di Bettelmatt. In ogni continente”. Marco Sacco è un personaggio che non si vede spesso nelle cronache gastronomiche nazionali (nonostante i tanti riconoscimenti ricevuti). Il suo ristorante, il Piccolo Lago di Verbania, è in un luogo del Piemonte ”dove non si passa, ma ci si viene apposta”.

La sua avventura inizia nel 1974 quando i genitori aprono questo ristorante sulle rive di uno dei laghi più piccoli (e affascinanti) d’Italia, circondato dalle montagne: il lago di Mergozzo. Negli anni lui lo costruisce, lo rielabora, lo trasforma in un luogo che deve essere elegante e estremamente accogliente al tempo stesso. Negli anni Duemila arrivano riconoscimenti nazionali e internazionali. Intanto costruisce la sua storia altrove. Viaggia molto, spinto fin giovanissimo, dalla passione per il windsurf. Uomo di montagna che ama le onde. Già in questo l’indizio di qualcosa di dissonante, che sarebbe poi entrato come elemento distintivo della sua cucina.

Sacco è uno sperimentatore. Studia molto: in Francia, da Roger Vergé (uno dei padri della Nouvelle Cuisine) e dai fratelli Rimbault de L’Oasis. Poi i deserti del Maghreb e l’Asia con le sue metropoli. Qui, tra Shangai e Hong Kong, trova la sua strada fatta di ingredienti e tecniche nuove. Lo scambio però è reciproco, lì introduce non solo i suoi piatti ma la materia della sua cucina (ben esemplificata da quei sassi del Toce, raffreddati, per servire il burro di Formazza). I due mondi si incontrano, in piatti, come le zuppe, che arrivano ad un livello di complessità molto elevato (a cui Marco ha dedicato il suo primo libro). O in portate, come quelle dell’ultimo menù: Lumaca Lumaca, dove le lumache (di mare e terra) si accostano a gambero essiccato e papaya. O nell’Acquario vegetale dove si compone un paesaggio fatto di patata cotta nel burro, cetriolo e pastinaca (a rappresentare l’orto) con acqua di mare (ovvero acqua di cozze), alghe dissalate e shizo. A stupire è sempre la pulizia dei sapori, che escono netti, uno dopo l’altro.

Fusion, contaminazione? O più semplicemente una storia personale, che si aggiorna anno dopo anno, come il menu. Come si aggiorna anche la brigata di cucina: “Ogni anno, durante i mesi di chiusura invernali, partiamo e andiamo a organizzare cene in tutto il mondo” spiega. Ragioni di apprendimento (la brigata si rinnova spesso, il Piccolo Lago è stata la scuola di molti chef come, tra i più giovani, il promettente Paolo Griffa) e ragioni di marketing. Proprio in Oriente firma un modello di business promettente. Fatto di corner, in una catena di distribuzione di lusso, con i suoi piatti storici, in formato “cibo di strada”. Un nuovo modello che supera quello del bistrot esportato dai cuochi d’Oltralpe in aeroporti e stazioni. un modello che promette molto bene, unendo duttilità e costi contenuti. “Siamo partiti in sordina con due corner, che diventeranno quattro entro fine anno” spiega Sacco. Il camper - ristorante è già in moto.

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