A Schio la tradizione giapponese parla italiano

Chi frequenta il Giappone sa che è probabilmente il luogo fuori dall’Italia dove si può gustare la miglior cucina italiana e che questo è soprattutto merito dei tanti giovani cuochi giapponesi venuti a imparare con dedizione e impegno nelle cucine dei nostri ristoranti, per poi ritornare al loro Paese e aprire locali dove anche i nostri palati più sciovinisti ed esigenti non avrebbero nulla da eccepire.
Il caso di Aji Osteria Giapponese di Schio di Giulio Grotto coadiuvato dalla moglie Francesca Iachetta è l’esatto opposto e ancor più stupefacente.
Foto 2-ok.jpgSi comincia con la storia di Giulio, un ragazzo di Schio che frequenta come cuoco la Scuola Alberghiera di Recoaro e a cui uno stage da Perbellini a Isola Rizza cambia la vita. Non può più accontentarsi di mediocri cucine per turisti risparmiosi e comincia a mandare curriculum ai ristoranti citati dalla Michelin. Ne manda più di 300 e finalmente viene accettato al Ristorante l’800 di Argelato (BO) con i suoi menu di lumache e rane e poi al Dolada di Pieve d’Alpago (BL). Qui conosce un cuoco giapponese che lo incuriosisce e inizia pericolose esperienze lavorative di 3 mesi in Giappone in ristoranti italiani come Le Gioie di Nagoya o Il Bombolone di Tokyo ma si riserva sempre 1 mese per lavorare in un ristorante di cucina tradizionale giapponese. Ci va 6 volte e comincia a masticare giapponese: sono 14 o 16 ore al giorno in cucina senza perdere mai la concentrazione, un massacro formativo.
Foto3-ok.jpgPoi succede che al Dolada di Londra, nell’ultimo giorno di lavoro incrocia Francesca al primo giorno di lavoro. Galeotto fu il servizio: dopo un mese la telefonata: “Francesca, vengo a prenderti”. Il risultato è stato un viaggio insieme in Giappone, il matrimonio e il luminoso e razionale locale di Schio con l’ampia sala, il dehors e il negozio di artigianato giapponese con la collezione di bambole kokeshi e una sezione di coltelleria che lascia sorpresi. Il fatto che ci fosse un ristorante di questo genere così distante da tutte le rotte modaiole non poteva lasciarmi indifferente e così è stato il primo che ho voluto visitare dopo la riapertura.
Ci sono andato a pranzo e sono state due ore di assoluta felicità.

Lo stuzzichino di entrata è stato un antipastino misto con kakuni (teneri bocconcini di carne di maiale marinati e brasati), goma wakame (insalatina di alghe e sesamo) e ajitama (uovo dal cuore morbido) a cui è stato abbinato un sakè daiginjo Konishi Hiyashibori Gold della prefettura di Hyogo.
foto4-ok.jpgAntipasto tradizionale con i gyoza (ravioli ripieni di carne di maiale e verdure, fra i migliori che io abbia mai mangiato, Giappone compreso) accompagnati da salsa di soia e dei takoyaki (polpettine di polpo servite con katsuobushi, maionese e salsa takoyaki) bevendo junmai Yonetsuru Pink Kappa, un particolare sakè di colore rosa prodotto utilizzando il lievito rosso Adenina.
Altri due antipastini: nikuman e yasaiman (piccoli fagottini di pane cotti al vapore ripieni di carne di pollo e di verdure) piacevolmente accompagnati da un junmai Okimasamune Ginpa, un sake tradizionale di Yamagata.

Foto5-ok.jpgPoi Giulio ci ha fatto assaggiare la specialità del locale: due mini ramen, un miso ramen (brodo vegetale a base di miso, noodles, arrosto di maiale, uovo dal cuore morbido, cipollotto e spinaci) e un tonkotsu ramen (brodo a base di carne, noodles, arrosto di maiale, uovo dal cuore morbido, cipollotto e bambù) con abbinato un altro sakè junmai Koikawa Beppin. Proprio l’arrosto di maiale infilzato, il Chashu ha fatto la differenza, devo dire che una cottura così curata della carne la può fare solo chi abbia avuto un’esperienza professionale importante di cucina italiana. Sicuramente il miglior ramen che io abbia mangiato in Italia (e non solo).
Foto6-ok.jpgA seguire la Tonkatsu Bento, una box con scomparti al cui interno abbiamo trovato del riso al vapore, una tonkatsu (cotoletta di maiale iberico impanata con panko), una korokke (crocchetta di patate), tamagoyaki (frittatina), ebi fry (gamberi impanati e fritti) e insalatina di cavolo cappuccio con dressing al sesamo. In abbinamento la solare Francesca ci ha servito un honjozo Yonetsuru Dry Kappa dal gusto secco e leggero.
A conclusione tre dolcetti: mochi ice (palline di pasta di riso ripiene di gelato al tè verde), Okinawa Sunset (mousse di mango, cuore di frutti rossi e biscotto al cocco) e Sweet Kyoto (mousse allo yuzu, morbido biscotto joconde al tè verde matcha, crema di mango e frutto della passione); accompagnati da un ultimo giro di sakè alla frutta: Kodakara Yuzu, Ginger, Sumomo e Momo Sakura.
Naturalmente si possono scegliere anche vini da una carta non ampia ma adatta ai piatti serviti; però vi consiglierei di approfittare della competenza di Francesca e andare sui sakè. Foto7-ok.jpgAlla domanda su cosa l’avesse più impressionato della cucina giapponese, tanto da fargli abbandonare una promettente carriera da cuoco di cucina italiana, Giulio ha risposto: precisione, costanza, pulizia. È un ristorante di cucina casalinga dove il pesce è quasi assente ma vale assolutamente il viaggio; Giulio e Francesca hanno messo fantasia e talento a servizio di un sogno.

AJI Osteria Giapponese

Via Giarette 13
Schio (VI)
Tel. 3519115569
osteriagiapponese@gmail.com
https://osteriagiapponese.wixsite.com/ajiosteriagiapponese/virtual-tour (Emotional Virtual Tour )

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