Paolo Griffa al Petit Royal e Andrea Alfieri al Grand Royal

Il fascino dell’Hotel Royal (via Roma, 87) di Courmayeur (Ao) è indiscutibile. Ti appare con il suo dehors mentre stai camminando lungo il corso principale. Entri e lo spazio lounge è generoso e invitante, con la solennità dei luoghi d’altri tempi. C’è anche la piscina, ma non al coperto, accanto a una zona fitness e, di sotto, la Spa.

La nuova stagione di questo hotel ha due novità in cucina: al Petit Royal (tel. 0165831611), i trenta coperti di una bomboniera dove si esercita il giovane Paolo Griffa, mentre negli spazi del Grand Royal è arrivato Andrea Alfieri, cuoco noto a Milano, che propone un menu tutto suo, dall’aria accattivante.
In entrambi i luoghi ci sono due sommelier preparati e nel secondo abbiamo anche avvertito la soddisfazione di una profonda conoscenza dei vini del territorio, serviti volentieri a bicchiere. Abbiamo provato entrambe le cucine, molto diverse fra di loro, forse ancora alla ricerca di una compiutezza.

Certo i fari sono puntati soprattutto sul Petit Royal, dove questo cuoco di 26 anni, che arriva da un percorso di cucine celebri in Italia e all’estero, ricerca le sfumature (a volte anche eccessive) su ogni piatto. La sequenza degli amuse bouche è indicativa dei suoi menu, che si possono comporre a piacimento, scegliendo uno dei sei alimenti portanti (pomodoro, uovo, trota, patata, piume e jolly). Da lì una sequenza di piatti a sorpresa.
Noi abbiamo fatto un mix fra i vari menu, con appunto una sequenza di assaggini che iniziano con il pine-apple: succo di pino fermentato e mela, tanto per ambientarti subito nei profumi della Vallée. Degno di nota la Foglia (impasto di topinambur all’olio di zucca e limone), di piacevole equilibrio sia la tartelletta al nero di seppia con crema di caprino alle erbe, carote sott'aceto, semi di papavero, fiore e foglia di carota selvatica, sia il panino al vapore fritto con anguilla affumicata, salsa di arancia e cerfoglio. Senza acuti, il raviolo di rapa gialla sottaceto ripieno di tartare di seppia con gel allo yuzu sopra a zenzero bruciato, ma ottimi i piedini di vitello infarinati nel riso Artemide con maionese all’olio di basilico e il ghiotto, finissimo cannolo quadrato con tzatziki e crema di olio di taggiasche.
Sarà ottimo il pane realizzato in cucina con un burro eccezionale. Quindi via con un eccellente aspic di gambero rosa, gelatina di acqua di pomodoro ed erbe aromatiche, neve di burrata e pizza fritta. Quando arriva la trota fario marinata, acqua di mele e idromiele, perle di tapioca all’olio di basilico accompagnate da chips di pane, pesto, aglio orsino e zucchine in scapece dici: “Buono, ma quando si mangia?”. E qui voglio spiegarmi meglio: non possono esserci solo sfumature fantasiose in un piatto, ci vuole anche sostanza. E io capisco la voglia di un giovane che avendo raggiunto una suo traguardo (è in cucina da 14 anni) vuole esprimersi, ma come diceva Gualtiero Marchesi, non tutto in cucina può essere barocco. Ci vuole anche un poco di romanico, per stare in tema artistico, ossia semplicità. Quindi, anche se un piatto non ha dieci ingredienti per i quali poi la trota (per esempio) è un filiforme grissino, va bene lo stesso. Anzi, sarebbe meglio che le portate andassero un po’ oltre la dimensione delle tapas.
Terza portata (a proposito di Gualtiero Marchesi): uovo confit su foglia d’oro con consommé di funghi, brodo di parmigiano, foglie di verdura, cialda di pan al burro erbe e limone. Resterà memorabile alla vista, ma chi si ricorda il gusto di un uovo che non comandava il gioco, benché il suo nome fosse “Stracciatella”. Intanto il sommelier, bravissimo, abbina un vino perfetto a ogni piatto. E questa è un’esperienza valida, anche se poi fai in fretta a sentirti obnubilato.
Di primo è gradevole, ma non fine, la pasta farcita di trota affumicata, crema di fave, lardo di Arnad, timo selvatico, zest di limone e piselli, servito in bicolore.
Di secondo arriva finalmente il piatto della serata, quello che merita il viaggio, che ti sogni anche di notte e che vorresti mangiare in quantità almeno triple, tanto è buono. Eccolo: animella di vitello, crema di carciofi, jus di vitello e rosmarino con aggiunta di carote baby e ras el hanut, aligot di Fontina. Spaziale! Bravo Paolo! Dopo di che si sale ancora, e per questo vi dico che siamo davanti a una promessa, che fra l’altro nasce come pasticciere, per cui i suoi dessert sono tutti da provare.
Sublime il Flower power, ovvero cheese cake alla vaniglia, pan de mei ai fiori di sambuco, cremoso allo yuzu ai frutti gialli, biscotto al lampone, polline, petali di fiori e frutti rossi. Quindi la Pignatta, che è un involucro di cioccolato fondente, zucchero effervescente e coriandoli cotti, sfera di zucchero, spuma di caffè, mou di arancia e gelato alla nocciola fino alla pesca 360° a base di crème brulée alla mandorla e carpaccio di pescanoce, crema di pesca, cioccolato e amaretti.

Che dire? Talento Paolo Griffa ne ha da vendere, ma non dobbiamo avere fretta. Saprà far tesoro delle critiche, saprà trovare la sua strada, e presto e tardi (ma io credo più presto che tardi) sentiremo parlare di lui diffusamente. A patto che non pensi d’essere arrivato: siamo solo al primo gradino. In bocca al lupo!

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