La gastrovisibilità passa dalle ricette bastarde

Il burro nel pesto ha avuto la prima pagina della Stampa, ma a farci ben caso è da una settimana che si parla sui quotidiani e altrove di ricette non conformi. Conformi a che? Alla tradizione! Ma siamo sicuri ? Il burro nel pesto (che francamente mi sembra inutile come la panna nella bagnacaoda) ha visto un dialogo acceso fra Davide Oldani e Paolo Pietroni, segretario dell'Accademia Italiana della Cucina. Ma pochi giorni prima è stato Carlo Cracco a salire agli onori delle cronache per via dell’aglio in camicia dentro la pasta all’Amatriciana. E qui è il Comune di Amatrice che ha protestato. Vabbè, e la Ferrero Spa non ha ancora detto nulla sul Rocher alla coda di bue che da anni realizza Riccardo Di Giacinto del ristorante all’Oro di Roma?

Detto questo, i filoni delle polemiche sono di due tipi: l’imbastardimento della ricetta con una felice creatività, la cui rabbia lascia il tempo che trova, e l’ignoranza, tipo il risotto alla milanese con ingredienti che non c’entrano con l’aspettativa originale. C’è poi il terzo filone, che è quello sul nome giusto da dare a una ricetta (e qui la polemica degli arancini e delle arancine fa scuola). Dei tre filoni l’unico che ci sentiamo di biasimare è comunque il secondo (l’ingrediente di riferimento sbagliato), mentre l’interpretazione della ricetta autentica è un esercizio che mai avrà pace, perché in verità la tradizione è un fenomeno in evoluzione, non è statico come un museo, ma viaggia con la contemporaneità. Tradizione deriva da “trarre” e nella sua radice ha persino la parola “tradire”, che se vogliamo vuol dire trarre dal passato ciò che è attuale oggi o, se preferiamo, reinterpretare.

Certo è che questo genere di querelle, che conquista anche le prime pagine dei giornali, appassiona e richiama tanti intorno a qualcosa di identitario. A novembre ci fu una diatriba fra me e Federico Francesco Ferrero sulla bagnacaoda. E la Stampa ci dedicò una pagina. Ne seguirono messaggi, telefonate, approvazioni e contestazioni. Ma questo è il bello dell’Italia (come può essere bello il tifo per una squadra di calcio). Sul Magazine del Padiglione Italia, da un mese, è stata invitato, proprio su questo tema, un nume tutelare dell’identità italiana, che è l’Istituto Dante Alighieri con sede a Roma (ma a palazzo Firenze, attenzione!). E la Dante ha identificato le 100 parole del cibo per Expo, di cui la maggior parte sono ricette (la prima è dedicata al babà). È curioso andare a vedere come hanno trattato il tema, mentre nelle prossime settimane, c’è da scommetterci, altre famose ricette faranno gridare allo scandalo. È il nuovo tormentone di gastrovisibilità dei cuochi, del resto, facciamocene una ragione.

(Nella foto un fantastico risotto bianco di Claudio Sadler, che in realtà è scuro. Non male come foto di questo pezzo!)

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