Nell’Enciclica di papa Francesco, l’appello innanzitutto a far proprie una nuova mentalità e una diversa visione della realtà.

Ha sorpreso anche i più scettici. Parla a tutti. Ha la forza della verità. Non c’è intellettuale, politico, uomo di potere, che in queste ore non stia dichiarando stupore di fronte all’enciclica di Papa Francesco. Il suo invito a prendere in considerazione “le sfide che ci troviamo davanti in merito alla cura della nostra casa comune”, non solo viene accolto, ma addirittura fatto proprio anche da chi, fino a ieri, è stato convinto sostenitore di una concezione del vivere diametralmente opposta di quella che il Santo Padre suggerisce. È la riflessione che uomini e donne di tutto il mondo, di qualsiasi ceto, razza, religione, cultura, accolgono come fosse la voce del “fratello” più amato. «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati». Chiaro il cuore del messaggio. Già il titolo, “Laudato si’”, con il suo richiamo forte a San Francesco, sgombra il campo da possibili equivoci. La realtà è dono. Tutto è stato fatto per noi. Per tutti, noi. Nessuno escluso. Se è così, come è così, prendere coscienza di questo ha come prima conseguenza l’urgenza del riproporsi delle domande più profonde del vivere. Chi siamo? Che senso ha il nostro vivere? Uomo e donna, sono i padroni della terra? Tutto è lecito? I guru che stanno facendo a gara a dare la loro interpretazione delle parole del Pontefice, a dire il vero, sembrano non aver dato molto peso al fatto che il Papa parli di Creatore, creato e creatura. «Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a sé stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato». Una fucilata, addirittura il suo attacco all’ “Antropocentrismo deviato” che fa sì che «quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo». La “conversione ecologica” a cui fa appello il Santo Padre è provocazione a mettere in discussione la visione del mondo che si ha. «Se ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio. D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5) e “la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza». Sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. «Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune». Al centro della riflessione, un interrogativo. «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» Chiara l’indicazione della strada per non fallire. «Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti». L’eredità di questa enciclica potrebbe essere una vera rivoluzione culturale, e, nel solco di svolte che hanno cambiato la storia (una per tutte il monachesimo), il primo passo di un cammino che porti alla realizzazione di una nuova modalità di progresso e di sviluppo.

COMMENTO DI PAOLO MASSOBRIO. “Decrescita felice”, “ecologismo banale”, “attacco alle banche e alla finanza”. Questi alcuni dei commenti contrari all’enciclica di Papa Francesco che si leggono sui giornali, nel continuo tentativo di catagolare qualcosa, tirandolo a destra e a sinistra. In realtà quella del Papa è la provocazione a una riflessione profonda, ma sopratttto, è la messa in discussione di una certa autoreferenzialità che ha smesso di dialogare, cercando nell’interesse parziale la via per nutrire se stessi anziché il Pianeta. Questa Enciclica è un dono, ancor più oggi che viene calato dentro un evento come l’Expo che ha messo al centro proprio questi temi. Al di là della lettura banallizante, questa si, che offrono invece certi titoli di giornali, la provocazione del Papa è destinata a condizionare i dibattiti che ci saranno in questi quattro mesi di esposizione universale. Un’esposizione che il 7 febbraio a Milano ha avuto una prewiew dell’Enciclica quando il Papa ha ricordato che la terra è un prestito che ci è stato fatto dai nostri figli. La risposta più seria, allora, è accettare un confronto, anziché catalogare questo lavoro in qualche categoria di misura assai piccola. Proviamo ad alzare lo sguardo, a volare un po’ più alti.

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