Una storia di rapporti ed amicizia che ha vinto contro la burocrazia

Questa è una notizia che aspettavo: il Bitto storico viene ufficialmente riconosciuto. Ci sono voluti vent'anni e Paolo Ciapparelli, nella foto con una forma nel suo santuario del Bitto a Gerola Alta, ne ha passate di ogni genere. L'umiliazione di essere multato, di ricevere raccomandate dalla burocrazia romana e quindi di andare avanti e indietro, dalla Valtellina alla Capitale con la sensazione di essere lasciato solo, soprattutto sul territorio, dove appena uno viene bollato d'essere una testa calda, lo isolano. Eppure lui ha tenuto, coi suoi malgari, che si sono ribellati a un disciplinare che secondo loro portava all'appiattimento. Ed hanno continuato a fare il Bitto dove e come si era sempre fatto. La differenza? La giudicheranno i consumatori, ma perché censurare a priori qualcuno o qualcosa? Oggi tutto questo sarà alle nostre e loro spalle. Nei locali del suo santuario del Bitto, dove andai appositamente nel gennaio del 2010 con la mia delegata di Papillon Francesca Traversi per poi scriverne sui giornali, ci sono le foto dei suoi malgari a fianco delle forme che stagionano. Ma c'è anche l'articolo in loro difesa di Veronelli sul Corriere della Sera, c'è la documentazione di come gli amici di Slow Food, Piero Sardo in prima linea, gli sono stati vicino. Ecco: i rapporti, l'amicizia, la solidarietà intorno a un prodotto vero, una volta tanto hanno vinto sulle trame oscure che usano l'arma della carta bollata per distruggere. W il Bitto storico. W Ciapparelli!

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