“Ma come Kit?” “Sì, si chiama Kit, Kit Berton.” “Ah…” Mio marito stentava a capire. All’imbocco dei sentieri che da Bobbio Pellice portavano alla montagna, aveva trovato un ragazzo che vendeva due formaggi su un tavolino, sotto un piccolo ombrellone giallo. Gli aveva detto che avrebbe voluto visitare un alpeggio e gli aveva chiesto chi fosse, a suo parere, il più bravo produttore di seirass del fen (una ricotta tradizionalmente rivestita di fieno maggese della zona Pinerolese). Il ragazzo valdese aveva chinato la testa, ma aveva risposto senza esitazione. Per mio marito era comprensibile la timidezza del ragazzo, ma la stravaganza del nome, di certo non di origine valdese, gli faceva dubitare fosse uno scherzo e mi gettò uno sguardo imbarazzato. Il ragazzo, sempre timidamente, aggiunse che, se andavamo all’Alpe d’Crousenna a quota 1600 metri, avremmo trovato il Kit che stava facendo proprio il famoso seirass. Non potevamo non andarci.
Per arrivare ci fu una salita di circa 2 ore dalla bocchetta. Agitando per aria la sua T-shirt bagnata fradicia di sudore, mio marito provò a chiamare due o tre volte quel nome del padrone della baita. Infatti un giovane uomo di grande statura sporse la testa dalla porta di una baita e ci disse di aspettare finché non avesse fatto uscire tutte le bestie dalla stalla. Decidemmo di aspettarlo prendendo il sole sul tetto di lose di una stalla un po’ più su. …Kit esisteva. L’ultimo pezzo di sentiero era un pendio abbastanza rapido, ma salimmo su incoraggiati da una natura rigogliosa. Vicino ai miei piedi danzava una coloratissima farfalla e poi saltò via una cavalletta; tese le ali verdi che rivelarono un interno rosso vivo e si posò più distante. Vidi cardi, campanule, raponzoli, arniche, fiordalisi, i fiori di quella montagna erano simili a quelli del Biellese, ma non esattamente uguali e, rigogliosi ovunque a profusione, mi facevano notare la ricchezza della biodiversità. “Senza dubbio faranno buoni formaggi!” Mentre facevo questi pensieri golosi sulle lose assolate, quasi in sogno, Kit aveva finito di far uscire tutte le mucche al pascolo ed era entrato proprio nella stalla sul cui tetto ci stavamo riposando. Mi alzai a guardare e, dalla porta aperta, vidi saltar fuori e correre giù per il prato sette o otto vivacissimi maialini. “Che carini! Guarda! Guarda!”. Anche mio marito si era alzato e li osservava con gli occhi a metà addormentati, poi lentamente disse: “Lui farà anche un buon salame. Gli chiederò anche quello”.
Kit con la kappa è il suo vero nome. Ci disse che suo padre era un grande lettore di Tex Willer e così lo aveva battezzato con il nome del figlio del suo personaggio preferito. Il nostro Kit, 30 anni fa, decise d’imparare la produzione di formaggi da una donna che gestiva questo alpeggio di Crousenna. Grazie al suo severissimo insegnamento, litigavano tutto il giorno dice lui, riuscì ad imparare a fare il seirass perfetto più con le mani che con la testa. Gli chiesi come mai il seirass venisse rivestito col fieno e mi rispose che era il miglior modo di conservarlo per trasportarlo giù in paese dalla montagna. Si scende dagli alpeggi ai primi d’ottobre ed era un po’ il formaggio della vendemmia. Ma ora il modo di trasporto è cambiato, per cui il fieno è più ornamentale che funzionale. All’interno della baita buia e molto fresca anche in estate, tenendo in mano una tazzina dal termos pieno di caffè, continuavamo le nostre chiacchiere. Ma all’improvviso mio marito gli chiese di farci assaggiare un salame. Kit gli disse che non poteva perché ne aveva pochi, non li vendeva e dovevano durargli fino a fine stagione. Mio marito, come se non avesse sentito, insisté dicendo che maiali allevati così sani e sportivi, quasi da cinghiali, non potevano che diventare un salame buonissimo. Ma Kit gli disse: no e no!... e cambiò discorso.
Kit produce seirass solo in estate perché, secondo lui, in inverno, quando le mucche mangiano solo fieno, il latte non è buono. Mentre parlava ne tagliò una bella fetta e ce la portò. Quella ricotta compatta perché leggermente pressata, dopo essere scolata per 12/36 ore, anche dopo un certo periodo di stagionatura, fa ancora sentire il gusto del latte fresco in bocca. Non avevo mai assaggiato un prodotto lattico così in vita mia. Mio marito disse con noncuranza che, dopo aver apprezzato perfettamente il gusto del suo seirass, era ora di conoscere il suo salame. Kit rise ad alta voce “heh!” e gli disse di dimenticarsi il suo salame e tornò alle nostre chiacchiere. Gli chiesi, con un seirass così buono, se partecipasse a qualche fiera importante. Allora lui raccontò che c’era stata un’occasione quando, una volta, un altro produttore di seirass, in un periodo in cui non ne aveva abbastanza, gli aveva chiesto di vendere i suoi ad uno dei suoi clienti importanti. A questo cliente era piaciuto di più il formaggio di Kit e gli aveva chiesto di partecipare ad una fiera insieme. Ma lui disse che non poteva. Prima di tutto perché sarebbe stato scorretto verso il collega e poi perché, con la sua poca produzione, facendolo conoscere maggiormente, non ne avrebbe avuto abbastanza per soddisfare tutti e questo gli sarebbe dispiaciuto. Anche mio marito annuì due o tre volte con un bel boccone di seirass in bocca, ma poi gli propose di vendergli almeno un bel po’ di salami quando avesse ucciso uno dei maialini in inverno. Di nuovo rise tanto Kit e ci disse “Va bene , va bene, ora ve ne faccio assaggiare uno perché so che, altrimenti, questo qui non se ne andrà mai via! Faccio assaggiare ma poi tornatevene a casa!” poi rise ancora di più, come un tuono. Andò a tirare fuori un salame dal contenitore pieno di strutto e, dopo averlo pulito diligentemente dal grasso con la carta scottex ce lo servì. Ne presi un pezzettino tagliato da lui e dicendo “perdono” lo misi in bocca. Dalla carne rossa si sprigionò il dolce della perfetta stagionatura che, masticando masticando, si mescolava con la salatura a far nascere il gusto profondo. E poi il grasso si sciolse sulla lingua per sparire all’improvviso. Aveva ragione mio marito.
Da quell’anno, ogni fine di agosto, andiamo a trovare Kit all’Alpe d’Crousenna per comprare i suoi seirass e anche alla vigilia di Natale a scambiare gli auguri a Villar Pellice, dove abita quando non è in alpeggio. Di salami non ce ne ha venduti nemmeno una volta ma, quando andiamo, ci aspetta tirandoli già fuori dallo strutto. Anche la sua vita, in questi ultimi 10 anni, ha avuto un po’ di cambiamenti. Ha costruito in alpeggio un caseificio sempre piccolissimo, ma più moderno. Ha trovato una ragazza dolce e forte che si chiama Monica e s’è vendicato di mio marito presentandogliela la prima volta come sua sorella e facendoglielo credere per tutta la giornata. Io ho adorato Celine, la madre di Kit. Lei mi aspettava a casa sua con un bicchiere di latte appena munto la mattina e mi guardava berlo sorridendo. Monica è stata dietro a Celine, che aveva un grave problema di salute, fino a quando purtroppo è mancata. Ora Kit e Monica vivono insieme e hanno avuto due figli bellissimi. Il padre di Kit era morto giovane lasciandogli solo quel nome. Per Tex il nome Kit era, prima ancora che quello del figlio, quello del suo più caro amico Kit Carson. Nel nome mi piace vedere un desiderio paterno di avere nel figlio anche un compagno di vita. Purtroppo sia suo papà che Celine non poterono vedere i nipotini, ma mi sembra che Kit ora stia realizzando quell’ideale di suo padre.
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