È mancato domenica mattina. Aveva fondato il progetto Àmati!

Ho sempre pensato che Marzio Nocchi e Gino Veronelli si sarebbero dovuti conoscere. Due bergamaschi affascinanti, come la città alta dove vivevano. Entrambi hanno elevato la cultura del gusto, in senso lato, passando ovviamente per quel che riguarda il cibo.

È toccato a me di conoscere a fondo Marzio, dopo una cena memorabile al San Martino di Treviglio nella primavera di tre anni fa. Allora Marzio aveva in cantiere il progetto "Àmati! Volersi bene attraverso il cibo.", ma quello che mi colpì fu che la sua intuizione, che spaziava nella nutraceutica, aveva in sé i germi di una nuova agricoltura. Àmati! è diventato subito un libro, poi un locale in via Cappellini a Milano e una serie di tentativi per assecondare quei prodotti che avevano dentro di sé una forza: il monococco come la carne di razza bovina piemontese, le bacche di goji o le corniole.

Ci ha lasciati, Marzio, la mattina di domenica, San Gaetano, verso le 5,30, quando il sole incomincia ad invadere con la sua luce la bergamasca. Quel territorio dove ci siamo dati appuntamento chissà quante volte, per provare un ristorante, per raccontarci la vita, i progetti, gli sconforti e le conquiste. Era un personaggio determinato, un visionario lucido, che lottava sempre, finché in cuor suo ha deciso di smettere (- Marzio non mi deludere - gli dissi al telefono - e lui sorrise). Poi a un certo punto qualcosa ha iniziato a ingripparsi, non nel progetto, ma nel fisico. Ha iniziato a dimagrire, mangiava a fatica, finché il responso, dopo il ricovero in ospedale, è stato quello che non avremmo mai voluto che fosse: la malattia del secolo, quella che non perdona, che ci porta via le persone più care in un batter d'occhio: tre settimane.

Dove sei Marzio? Ci siamo visti con Marco Gatti in una domenica piena di sole, nella camera al sesto piano dell'ospedale di Zingonia. Ci siamo sorrisi in un maniera sincera, da uomini. Un quarto d'ora che vale un'eternità. Poi il sabato seguente, al mattino, sono andato da Santa Rita con la rosa più bella del mio giardino e, con Silvana, te l'abbiamo portata. Quando un amico stà così, mi hanno insegnato che bisogna chiedere il miracolo. Ma l'esito non è quello che pensiamo noi. Il miracolo è quello del compimento, che alla fine ha lo spazio soltanto fra te e Dio. Quando sono entrato nella stanza al sesto piano, ti eri appena svegliato e c'erano tutti i tuoi cari intorno, che ti sorridevano, ti accarezzavano. E già questa era una gran bella cosa. Eri sereno. - Cos'è questa rosa speciale? -. - È la rosa di Santa Rita - ti dissi - quella dei miracoli più impensabili -. Già, chissà cosa succede quando la vita ti scorre davanti e inizia il distacco. Cosa avrai sognato, cosa avrai pensato? Gli amici, tanti, che ti hanno conosciuto in questi anni sono passati a trovarti, ti hanno chiamato al telefono. Fino all'ultimo hai messaggiato con Alberto De Magistris, quello dell'Optima carne che ti feci conoscere a Golosaria: l'hai chiamato due volte, in settimana, per sapere com'era andata un'iniziativa. E con lui ci siamo sentiti sempre, per sapere come stava andando.

Mentre incombe la vacanza degli Italiani, anche tu sei partito, per l'incontro con l'Essere. Marco Gatti ancora se lo ricorda quel sorriso esplosivo, quando ci siamo salutati, quella mano affaticata che salutava mentre uscivamo dalla stanza al sesto piano. Non era il saluto di un uomo che stava finendo, questo me lo ricorderò sempre: era il gesticolare di chi sapeva che aveva gustato il centuplo delle cose ed ora c'era da sorridere ancora, perché l'avventura incomincia. I funerali, in forma privata, saranno celebrati domani.

È stato bello conoscerti: tre anni intensi ed edificanti, fino alla fine. Ciao Marzio, sarai sempre nei nostri cuori.

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