Una storia di studi, recupero di cultivar antiche. E agricoltura

Si chiama Turanico, ha un nome che sa di antico e un sapore che viene dal passato. La sua è una bella storia, da raccontare quando si parla di biodiversità, di filiera certificata e di studi agronomici che sposano l’agroalimentare. E’ una varietà di grano originaria del Khorasan che si è diffusa anche in Italia in tempi antichi ma è stata ben presto dimenticata. Almeno fino a una decina di anni fa quando la cooperativa Prometeo di Urbino in collaborazione con Oriana Porfiri, agronomo esperto in cereali, ha valutato diverse linee di grano turanico, in particolare la 17 e la 38, e ha ricostruito la filiera dal seme alla prima trasformazione. L’idea di puntare sul grano Turanico si è rivelata vincente perché questo cereale ha una particolare caratteristica: un glutine poco tenace e facilmente digeribile, come hanno riscontrato diversi studi.

L’azienda agricola Mancini (C.da San Rustico • tel. 0734969311) di Monte San Pietrangeli (Fermo) ha studiato questi cereali, macinati a pietra, e realizzato uno spettacolare spaghetto che in cottura sprigiona tutto il profumo di questo grano. Questa storia è però solo l’ultimo miglio di un’azienda che ha fatto molta strada: dal 1938 infatti la famiglia Mancini coltiva sulle colline marchigiane il grano duro delle varietà San Carlo e Levante. Dagli anni Duemila la pratica agricola è stata ulteriormente affinata e tutti i prodotti rispondono ai protocolli della Buona Pratica Agricola che migliora la qualità e riduce l’impatto ambientale. Contemporaneamente, nel 2001, decide di affiancare alla coltivazione un’attività artigianale di produzione di pasta con trafilatura al bronzo ed essiccazione lenta su telai di legno a bassa temperatura che migliora le caratteristiche organolettiche. Il risultato è una pasta che reca sulle confezioni l’annata del raccolto, che sarà diversa anno dopo anno, perché unica ad ogni annata. Un’idea innovativa che i migliori ristoratori hanno già imparato a conoscere.

E nel mese di marzo di quest'anno Paolo Massobrio, che recensisce fin dagli inizi Mancini sul Golosario, ha partecipato ad una degustazione comparata di paste, dove fra i vari campioni in assaggio c'era quello di Mancini. "Una prova esaltante ed inequivocabile - ha riferito - la pasta di Mancini era diversa fin dal colore, ma anche nella consistenza. Una pasta che aveva un sapore, cosa che molte paste non hanno. E li ho capito - dice ancora Massobrio - del grande regalo che mi fece Vittorio Beltrami nel 2003 quando nel suo negozio mi fece assaggiare la pasta di Mancini solo con olio, pepe e scaglie del suo formaggio di fossa. Un assaggio memorabile che ricordo ancora: la pasta non era un succedaneo, ma la protagonista che esaltava l'olio di Cartoceto e quel cacio. Sopra a tutto il Verdicchio Podium di Garofoli. Come dimenticare, nonostante siano passati 14 anni". Grande Massimo Mancini!

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