Continua il nostro viaggio in regione Lombardia alla scoperta di produttori, ristoratori e botteghe che stanno innovando il settore agroalimentare. Ottava tappa la provincia di Bergamo

Parlare di Bergamo significa parlare di una delle zone a maggior concentrazione di attività casearia d'Europa, quella delle Alpi Orobie per l'appunto che conta una teoria di formaggi straordinari, dalle piccole produzioni come l'Agrì di Val Torta, i caprini dal latte di capra orobica o gli stracchini delle Valli parenti stretti del Taleggio, fino ad alcune importanti Dop come lo Strachitunt o il Formai de Mut dell'Alta Val Brembana.

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Nel solco dei formaggi di montagna
La montagna e il formaggio sono alla base di almeno due grandi storie di innovazione che meritano di essere raccontate. La prima risale a metà del Novecento quando Giacomo Midali riunisce i tanti piccoli casari della Val Brembana che producono un formaggio storicamente venduto durante la fiera di San Matteo a Branzi in una Latteria sociale. Questa fiera era così importante da dare il nome al formaggio – il Branzi – che i casari da sempre facevano su quelle montagne: l'intuizione fu quella di dare una struttura moderna a quella produzione tradizionale. Oggi la Latteria di Branzi riesce a portare il suo formaggio in tutta Italia salvando così una importante parte dell'economia agricola del territorio.
L'altra storia – più recente – è quella di Giacomo Perletti che a Oltressenda Alta, dopo la laurea in Agraria, ha deciso di recuperare un antico nucleo rurale per dare vita al suo caseificio. Qui, nel 2014 ha cominciato con sole tre manze di razza Grigio Alpina, divenute più di 20 nel tempo, che nei mesi estivi porta in alpeggio e poi trasferisce in stalla, nutrendole solo con le erbe dei prati. Con l'avvio del caseificio nel 2017, il loro latte è trasformato, anche grazie all'aiuto di Matteo, in una teoria di straordinari formaggi. Tra questi, è commovente lo stracchino a munta calda, ottenuto con la tecnica della “munta calda”, ovvero il latte appena munto viene subito filtrato e messo in una caldaia di rame con il caglio per ottenere una pasta morbida e cremosa.

 


Il produttore: Podere Montizzolo
Il salame crudo è per molti versi un simbolo della campagna lombarda e bergamasca. È il prodotto di salumeria che si otteneva nelle cascine quando un tempo andava il macellaio stalla per stalla a lavorare il maiale. Oggi quel mondo non esiste più, però c’è chi ha fatto di quei valori – quello del maiale allevato in proprio con un’alimentazione controllata – il proprio simbolo. Così è stato per questa attività, ambientata in uno splendido cascinale seicentesco, che propone il Salame del Montizzolo, con una vera e propria carta di identità per certificarne origine e filiera produttiva. Accanto a questo ci sono anche il cacciatore, il cotechino, il lardo, la pancetta, il prosciutto di Parma stagionato almeno 18 mesi e il prosciutto cotto, poi salsiccia, salamella e wurstel. Questi e altri prodotti locali si possono acquistare nella Bottega (in via Moietta, 31) o degustare presso l’agriristoro inaugurato nel 2014, dove si organizzano pranzi di lavoro e serate a tema.



Il locale: MaTe di Treviglio
È il nuovo concept di locale che più incarna il tema di quest’anno di Golosaria: Il cibo che ci cambia. Infatti entrando in questo locale tutto parla di cambiamento: gli spazi, la proposta gastronomica, gli ingredienti e persino il personale, giovane e preparato. Trovare una definizione unica per MaTe è impossibile: è una bottega coi prodotti migliori delle aziende agricole intorno, raccolte e coordinate da Fabio; è pizzeria gourmet; è ristorante o bistrot; è bar e cocktail bar. Ma, secondo l’intuizione di Giuliano Mattavelli, imprenditore col cuore goloso, è anche un luogo dove si parla di piatti che fanno bene alla salute secondo la scuola della nutraceutica. Anche la pizza è molto buona, ma saranno una tentazione le patate fritte di Gera e le insalate preparate con ingredienti appena raccolti. Anche il pane è fatto in casa con farine selezionate. Nelle nostre visite i piatti sono stati diversi, ma per darvi un’idea, fra gli antipasti: la cervella di vitello croccante con salsa agrodolce; la tartare di storione bianco con salsa allo zenzero; la trippa di manzo bollita e fritta con maionese alla paprika. Fanno anche il panbrioche per accompagnare il caviale dello Zar e il paté di fegato di manzo con le mandorle. Di primo aspettatevi i casonsei del MaTe o gli gnocchi di polenta bramata con crema di topinambur, carciofi fritti e cacio di capra fresco; il risotto alla contadina; le tagliatelle rosse al ragù d’anatra. Ai secondi, carne, con l’aletta brasilera; il filetto di maiale alla Treviglianese oppure il pollo nostrano col cavolo cappuccio. Si chiude col loro gelato fior di mucca, il tiramisù espresso o lo strudel di mele. I prezzi sono per tutte le tasche perché il MaTe vuole rivolgersi a tutte le fasce di clientela, cominciando dai più giovani. E questa è un’altra innovazione che merita di essere raccontata.

 
 

La cantina: Cantina Sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon
La grandezza dell'Italia del vino passa anche attraverso cantine sociali come questa. È la Cantina Sociale Bergamasca, da mezzo secolo motore della Valcalepio. Costruita nel 1957 (ma la produzione è cominciata nel 1960), ha avuto la lungimiranza – ed è qui la loro spinta innovativa – di puntare sulla qualità, anche in anni in cui le cantine sociali non sapevano distinguersi. E lo ha fatto facendo perno sui vitigni locali – moscato di Scanzo su tutti – ma anche su alcuni internazionali come cabernet sauvignon e merlot, che in terra bergamasca hanno trovato territorio ideale per esprimersi. Oggi raccoglie il lavoro di 150 soci, che si dedicano a 210 ettari vitati, distribuiti su tutto il territorio disciplinato dalla DOC Valcalepio e Terre del Colleoni e dall’IGT Bergamasca. La cantina di affinamento è capace di circa 600 ettolitri di legni, di diversa capacità ed essenza. E, accanto ad alcuni capisaldi come il Moscato passito o il Valcalepio Rosso da uve merlot e cabernet franc, ha lanciato prodotti nuovi: su tutti il SottoSopra metodo classico Brut, da una cuvée di chardonnay e pinot bianco e un poco di pinot nero. La permanenza sui lieviti è di 28 mesi: ha colore dorato, perlage finissimo e spuma abbondante; al naso i profumi rimarcano crosta di pane e nocciola, mentre in bocca è secco, fresco, di buona persistenza. Uno spumante che sa guardare lontano.

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