Marco Ghione di Al Bial, con la moglie Paola, la nuova corona del GattiMassobrio a una coppia che sa accettare le sfide che si tratti di montagne selvagge o di uova da non rompere...

Al ristorante Al Bial di Macra a metà della Val Maira (Cn) (S.P. 17 - borgata Bedale – tel. 0171999149), bisogna andarci per scelta non ci si passa per caso. In inverno rimane aperto solo da venerdì a domenica e i coperti sono circa 20, forse è anche per questo che questa nuova corona radiosa del GattiMassobrio 2018 è stata accolta con grande gioia e sorpresa dallo chef e patron Marco Ghione (classe 1959), che aveva già gestito per oltre 20 anni La Gargotta del Pellico, nella casa natale di Silvio Pellico a Saluzzo, “...ma con quel ristorante mi avevate dato solo il faccino radioso” ricorda Marco, con la sua parlata cortese e il modo di scherzare, schernendosi un poco, inequivocabilmente cuneese. 

Ci pare di capire che la gestione di questo piccolo ristorante di montagna sia per lui una bella prova e infatti la conferma arriva dalle sue parole.
"Quando conobbi il vecchio titolare nel 2013, e me lo propose dissi subito che era una follìa. Eravamo arrivati a Macra durante una passeggiata in montagna io e la mia compagna, Paola Muraglia. Abbiamo conosciuto casualmente il vecchio gestore di questo ristorante che voleva cedere l'attività e, scoprendo che ero del mestiere, mi propose di rilevarla. Io infatti ho fatto la scuola alberghiera a Mondovì, ho sempre lavorato nei ristoranti del Cuneese e gestito dall'85 al 2006 la Gargotta del Pellico a Saluzzo. Anche quando ho cambiato lavoro, per alcuni anni, mi sono occupato di vendita di prodotti freschi per chef, quindi sono sempre rimasto nel settore e anzi ho avuto modo di visitare le cucine di grandi chef in Italia e anche di frequentare i pasticcieri. Conosco le difficoltà del mestiere quindi e al vecchio titolare di Al Bial risposi subito di “no”. Fu Paola invece, amante delle sfide e più tenace di me, che si innamorò del posto quando lo vide e mi convinse ad accettare. E ora da 4 anni lavoriamo insieme: lei si occupa della sala e dei vini, io della cucina e questo posto ha cominciato con gli anni a farsi conoscere.”

Che cosa la spaventava in particolare di questa impresa?
"Chi conosce la Val Maira può capire i miei iniziali timori, questa è una valle bellissima e incontaminata, sulla via degli antichi acciugai, ma nel periodo che in cui varie valli di montagna si attrezzavano con impianti da discesa ecc… per accogliere il turismo, questo posto rimase praticamente disabitato. Pensi che Macra è un comune che ha poco di più di 50 residenti, la maggior parte dei quali vivono e lavorano altrove, ma hanno mantenuto qui la residenza perché il comune potesse continuare a esistere, come può sopravvivere un ristorante in un borgo disabitato e lontano dai grandi centri? Negli ultimi anni però questo territorio, che ha ancora i suoi boschi intatti, è stato scoperto da Austriaci e Tedeschi che fanno un certo tipo di turismo, in particolare escursionismo e sci alpinismo, e sono in cerca di una montagna paesaggisticamente integra e non troppo affollata. Così, grazie al passaparola, il turismo è arrivato anche in Val Maira e si tratta di un turismo diverso da quello mordi e fuggi, è alimentato da una curiosità per il territorio in cui trova spazio anche alla cultura del cibo e del vino. 
Noi non abbiamo fatto alcun tipo di pubblicità, ma gli appassionati di cibo e vino sono arrivati da soli attraverso un passaparola che è partito dai nostri amici del Cuneese ed è arrivato fino agli stranieri che frequentano la valle per lo sci alpinismo".

Quindi oltre a un borgo di montagna autentico cosa trovano i suoi ospiti Al Bial?
"Quando possibile ingredienti del territorio naturalmente: ho fatto un accordo con un contadino del paese che fa solo biodinamico per avere la freschissima verdura del suo orto appena raccolta e poi cerco di valorizzare i formaggi dei produttori locali. Io non preparo i piatti tradizionali, ma con moderata creatività, ripropongo nei miei piatti sempre sapori del territorio. 
Un esempio può essere il nuovo menu che sto sperimentando in questi giorni che comprende una: terrina di verdure invernali con filetto di trota salmonata marinata con aglio nero (una scoperta che ho fatto grazie a voi, assaggiando i prodotti dei vostri ottimi produttori di Golosaria!); pralina di seirass con vellutata di spinaci novelli impanata con pane pesto (un pane che preparo io); lasagna croccante con ripieno di ragù di fassona piemontese e salsa al parmigiano; spalla di agnello della Bisalta con spuma di mais passata nel sifone; crumble di cioccolato amaro con mousse di cioccolato al latte e gelato di topinambur. Il menu cambia continuamente con la stagione".

Un vero menu goloso e che rispecchia bene un territorio, ma oltre alle sue nuove proposte c'è qualche piatto storico e qualche sapore della memoria che ripropone spesso, dal momento che Lei appartiene proprio a questi luoghi?
"Tra gli ingredienti che ripropongo spesso e in tante varianti, c'è la polenta (...spuma di mais passata al sifone) perché mio padre gestiva un mulino che macinava mais e io sono cresciuto con il profumo delle antiche farine di mais nel naso… profumo che oggi si sente solo più nei mulini a pietra. 
Poi, grazie al mestiere di mio padre, ho potuto conoscere anche il grande Nino Bergese, che prima della guerra veniva chiamato il cuoco dei Re, perché era il più rinomato cuoco delle case dell'alta aristocrazia e dopo la guerra contribuì notevolmente alla fortuna del San Domenico di Imola. 
Tra i suoi piatti più preziosi io imparai a preparare L'uovo alla fornaia. Si tratta di un raviolo grande ripieno di ricotta e spinaci che contiene un tuorlo d'uovo intero che deve rimanere intatto quando viene chiuso nella pasta e ancora liquido dopo la cottura del raviolo. Qui lo serviamo ricoperto di parmigiano grattugiato, scaglie di tartufo e burro nocciola. Lo propongo solo ogni tanto ovviamente perché la ricetta presenta delle difficoltà: la pasta deve essere sottilissima, ma resistente così da contenere bene il tuorlo e cuocere prima di lui permettendogli di rimanere liquido quando il raviolo viene servito. Inoltre il raviolo deve essere confezionato poco prima della cottura per evitare che l'uovo bagni e rovini la pasta. Il segreto, oltre che nell'abilità del cuoco, sta ovviamente nella consistenza del tuorlo: solo certe uova biologiche, con galline ben alimentate, hanno un rosso con questa resistenza". 


Questo piatto mi sembra ancora una volta una bella sfida da affrontare. Complimenti!

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