Troppo tardi! Mentre cercavo di riprendere fiato, ho sbuffato per la delusione. Il “cavolaccio selvatico”, raggiunta la fioritura, produce una sostanza nociva e non è più commestibile. Invece i germogli, appena spuntati dalla terra come funghi, sono squisiti. Farli in tempura sarebbe stato un modo per ingabbiare la loro lieve amarezza, che ti esplode in bocca, proprio come una primavera.

Prendendo animo torno indietro sul sentiero da dove sono arrivata. Ho incrociato la signora che abita qui, lontano dal paese. Di solito non è molto comunicativa, ma oggi mi ha salutato con un bel sorriso. Forse sono strana con il bastone dei margari, quello per governare le mucche, il “patelavachi” nella nostra lingua, nella mano sinistra e un sacchetto di nylon con un paio di forbici nella mano destra, così rido anch’io. Sul sentiero dove non sono riuscita a venire l’anno scorso, un po’ per la pioggia quasi ininterrotta e un po’ perché troppo presa dal lavoro, si trovano le viole, gli anemoni, le margherite, le primule e tutti gli altri fiori di cui non conosco il nome. Deviando scendo giù dalla ripa, appoggiandomi al mio “patelavachi”. Un rigagnolo d’acqua sorgente attraversa silenzioso il prato là in fondo. Questa volta ci siamo! Il crescione e la valeriana selvatica, con i loro cespuglietti verde smeraldo sono cresciuti e intatti; per fortuna non è passato nessuno prima di me. Con le forbici li stacco dalla radice. Dal crescione sprigiona un profumo di verde piccante, energetico. Per paura che sia già troppo dura, provo a spezzare una piantina di valeriana con le dita. Invece il fusto flessibile si piega e si rompe facilmente e la sua dolcezza mi arriva subito al naso.

Quando iniziai a vivere in Italia, sia Guido che Edvilia non mi hanno mai chiesto, anche se stavo per diventare la loro nuora, cosa facessi in Giappone, né come mai fossi venuta fin qui. Vedendo che facevo fatica ad abituarmi alla vita italiana e alla lingua, un giorno Guido mi disse: “Sali su in macchina! Noi non sappiamo dove andiamo, ma la nostra macchina sa tutto e si ferma da sola dove dobbiamo scendere”. Così in tre cominciammo ad andare per i prati. Un giorno erano i germogli di tarassaco o di acetosa, un giorno era la volta del crescione e l’indomani toccava alla valeriana. Ci spostavamo a quattro zampe per il prato a raccogliere il tarassaco e, prendendo l’equilibrio sulle pietre, tagliavamo il crescione sulle rocce vicino ai ruscelli, spruzzandoci d’acqua corrente. Tornati a casa, spargevamo le erbe su tutto il tavolo e le pulivamo insieme chiacchierando. Così passava felicemente, in un attimo, la giornata. Compri una camicia di Issey Miyake in un grande magazzino; prenoti i biglietti di un concerto su internet; per grigliare il bue di Wakasa o di Kobe scegli il vino più adatto, poi provi quell’ olio aromatico consigliato dalla rivista. Con il lavoro sempre assicurato guadagni soldi e devi solo scegliere dove spenderli, che bella la vita a Tokyo! Invece qui, mentre uscivamo per i nostri prati, mi capitò spesso di cominciare la settimana con in tasca solo una banconota da 5 mila lire e dimenticarmene, fino a ritrovarla a fine settimana. E devo dire che non sentivo nessuna mancanza. Molte erbe selvatiche di primavera, sia il tarassaco che il crescione e la valeriana, persino il cavolaccio selvatico, hanno proprietà depurative per il corpo. Ma nel mio caso non fu soltanto il corpo a essere purificato. Lasciavo andare sul prato tutti i problemi portati da Tokyo e in cambio assorbivo l’energia della terra. Da lì iniziò la mia vita italiana.

Quella vita magica, con meno di 5 mila lire la settimana, non la posso più ripetere. Però, ogni anno, nei pressi della domenica successiva alla prima luna di primavera, cioè vicino a Pasqua, le erbe selvatiche crescono al massimo e non appena trovo un po’ di tempo libero parto per il prato, come oggi. L’insalata di crescione e di valeriana selvatica mescolata con un uovo sodo è indispensabile per l’arrosto di agnello del pranzo di Pasqua. Ma sia Guido che Edvilia, per colpa dell’età, non sono più in grado di venire insieme con me. Ne raccolgo il doppio, anche per loro, con molta ingordigia. Così concentrata e talmente avida, non ho più sentito i rintocchi del campanile e sono in ritardo. Al ritorno, con il mio sacchetto pieno di erbe in mano, vedo Guido che è venuto in macchina a raccattarmi; mi vede, sogghigna e fa un cenno col mento di salire. “Ma non ci sono neanche 100 metri fino a casa.” “Non importa. Dai, sali su!”. Quando arriveremo a casa di nuovo spargeremo le erbe su tutto il tavolo e le puliremo. Posso tornare a casa a piedi, ma salgo sulla sua macchina.

Ora, cari amici, Buona Pasqua!

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