Minghèn, Rachele e Scardabbà, l’emozione di tre birre d’autore

I vini assomigliano a chi li produce. Sia in bene sia in male. Ne siamo convinti da una vita. Che la qualità sia alta o scarsa, nel bicchiere si trova l’autore. Questa regola vale anche per le birre, concetto che sappiamo condiviso anche da Kuaska, guru e mito del popolo “birrofilo”, che da tempo va affermando che «le birre rispecchiano i birrai che le fanno». Ora è chiaro che quando ci si imbatte in prodotti di modesto valore, la voglia di conoscere chi ne è l’artefice non è granché. Quando al contrario ci si trova nel bicchiere raggi di luce come Minghèn, Rachele e Scardabbà, la curiosità di stringere la mano a chi le ha create è grande. Anche in questo caso, la regola che grandi prodotti hanno dietro grandi uomini è stata confermata.

Minghèn, Rachele e Scardabbà, è il tris d’assi che cala il Birrificio artigianale De Silvi (via A.Toscanini 41/a – tel. 3332461511 - www.birrificiodesilvi.it) di Ghedi (Bs). L’anima dell’attività è Davide De Silvi, personaggio dalla grande capacità, ma innanzitutto dalla grande umanità. Sufficiente degustare le birre, ragionando su nomi e caratteristiche che le distinguono, per capire perché affermiamo che Davide è cuore extra large. Ogni birra è dedicata a una persona cara a Davide, e tutte e tre son diverse.

La prima è dedicata al bisnonno Domenico Davoli, e Minghèn, il suo soprannome in dialetto. Omaggio a un uomo che si è trovato al fronte nella Prima Guerra Mondiale, poi a guerra finita in Francia a lavorare, quindi a Luzzara (RE) a fare muratore e infine il bracciante agricolo. Una vita che ha da far riflettere quanti oggi sanno solo lamentarsi, magari comodamente seduti a una scrivania. Breakfast Ale, ha colore giallo oro, cappello di schiuma da manuale, naso fine con profumo di lieviti, sentore di crosta di pane, note agrumate ed elegante speziatura, mentre in bocca è di media struttura, gusto che ricorda agrumi e spezie, buona persistenza.

La seconda, onora la nonna, Rachele, appunto, imprenditrice di grande valore del secondo dopoguerra, che partita dall’esperienza della trattoria alloggio Bolzoni, è stata faro di riscossa per il suo paese. Bitter di nome e di fatto, ha colore ramato, bouquet floreale ed erbaceo, gusto amaro e complesso.

La terza, diciamolo subito, quella che a noi è piaciuta di più, davvero conquistandoci, è commovente, nella dedica e nella sua grandezza. È dedicata al fratello Matteo – grande chef che noi avevamo avuto modo di apprezzare come giovane promessa della cucina italiana, negli anni in cui era ai fornelli dell’Ortica, ristorante che con lui aveva conquistato la Corona radiosa della nostra GuidaCriticaGolosa – prematuramente scomparso in un incidente stradale. Scardabbà era il suo soprannome, e la birra che ne onora la memoria ha colore ambrato con note dorate, schiuma dal colore candido di buona persistenza, naso di grande eleganza, con note di agrumi e sentori di frutta, mentre in bocca ha gusto morbido, con nota dolce di malto caramellato, sorso pieno e con la marcia delle grandi birre, finale con retrogusto di scorza d’arancia e leggermente secco.

Tutte e tre dallo stile che ricorda le inglesi, perché molto equilibrate, seguendo Giuseppe Vaccarini, uscito in queste settimane con Il manuale della Birra (Hoepli, 27 euro), lavoro che approfondisce il tema dell’abbinamento, Minghèn è la compagna ideale di una pizza alle verdure, Rachele si sposa a carni rosse e formaggi erborinati, mentre Scardabbà, vero capolavoro, fa matrimonio d’amore con piatti come un invitante risotto ai funghi porcini o a un buon pesce al forno. Grandi birre! Grande Davide!

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