Prova alla cieca di 18 birre IGA Italiana. La migliore è...

Anche l'Italia ha la sua prima categoria di birre ufficialmente riconosciuta. Sono le Italian Grape Ale (IGA): birre che hanno una percentuale di uva, mosto o mosto cotto (sapa) al loro interno. Lo scorso anno il Beer Judge Certification Program (BJCP) ha inserito le IGA nel documento che fa da riferimento per i concorsi birrai di tutto il mondo. Sono birre di confine, che indagano il limite tra il mondo dei malti e dei luppoli e quello del vino. E questa ricerca non poteva che essere italiana, terra dove il vino è vocazione antica, ma che a livello brassicolo sta registrando un “fermento” difficilmente riscontrabile altrove.

Abbiamo allora voluto mettere alla prova, rigorosamente alla cieca, 18 IGA di 10 birrifici. Ma prima abbiamo chiesto ad Andrea Turco, anima di www.cronachedibirra.it, qualche indicazione in più su questa tipologia. “Bisogna dire che le IGA non sono ancora uno stile ufficiale secondo il BJCP, ma sono candidate a diventarlo – spiega Andrea Turco –. Caratteristiche? I paletti sono piuttosto larghi: non ci sono indicazioni precise sulle caratteristiche che deve avere la birra, per esempio colore o grado alcolico. Sono solo due i paletti previsti: la presenza di uva, mosto o mosto cotto, in percentuali assolutamente variabili, e il fatto che la birra debba avere un'anima brassicola prevalente. Insomma, la birra deve prevalere sul vino”.

Su queste basi, le interpretazioni dei birrai sono ovviamente molto differenti l'una dalle altre: si va infatti dalle birre che giocano su freschezza e acidità, da aperitivo, fino a birre molto più complesse e strutturate, da meditazione. “A mio parere, le IGA che puntano sulla freschezza e semplicità di beva riescono ad ottenere risultati assolutamente peculiari – conclude Turco – mentre quelle che ricercano la via della complessità vanno in competizione con birre che hanno trovato analoga complessità attraverso altre strade”.

In una tipologia di birra così poco codificata, è difficile fare un vero e proprio confronto. Nelle nostre scelte, abbiamo preso a riferimento due fattori: la distinguibilità dell'imprinting vinoso, e la piacevolezza complessiva. Perché, che sia vino o birra, alla fine è proprio questa dote a decretare il successo di un prodotto.

#5 - Birra del Borgo – Equilibrista (10.9%)

loc. Piana di Spedino, via del Colle Rosso – BORGOROSE (RI) – www.birradelborgo.it



Grande, per il sottoscritto e Fabio Molinari. Troppo estrema, per Paolo Massobrio. L'Equilibrista divide nei gusti, per via dei suoi azzardi. Quasi 11 gradi alcolici, la presenza imponente di mosto d'uva sangiovese al 39% e un metodo champenoise vero e proprio, con tanto di sboccatura finale e liquer d'expedition. I luppoli si fanno da parte, in questa birra color oro antico, decisamente complessa, fortemente vinosa, dalle intriganti note fruttate, finemente acidula, e da un imprinting finale di grande persistenza, dettato dal miele.

#4 - Birrificio Sorrento – Ligia 2014 (6%)

via Nastro d'Oro, 19 – MASSA LUBRENSE (NA) - www.birrificiosorrento.com



In etichetta, viene descritta come birra doppio malto con mosto d'uva. Ma non si specifica che il mosto d'uva, nella quota del 15%, è firmato dalle Cantine Marisa Cuomo, a Furore, e comprende falanghina (60%) e biancolella (40%). Il risultato è una birra d'intenso colore dorato, e dal naso fruttato e floreale (“ruffianamente aromatica” secondo Paolo Massobrio), con sentori canditi di cedro. In bocca colpisce per la sua freschezza e facilità di beva, resa vibrante da una nota acidula e citrica che accompagna tutto il sorso. È stata prodotta nell'autunno 2014: non dimostra per nulla l'età. Ci è piaciuta di più dell'Elèa, che vede la presenza di mosto fiore di aglianico di Taurasi della cantina Antonio Caggiano.

#3 - Montegioco - Tibir 2014 (7.2%)

fraz. Fabbrica, 1 – MONTEGIOCO (AL)



Il mastro birraio Riccardo Franzosi è famoso, anche, per questa birra che ormai produce da qualche anno, e che vede la presenza di uve di timorasso. Fama meritata. Perché dal bicchiere si sprigiona un naso pronunciato di pesca, mosto fiore, pepe e poi una leggera nota amaricante (mandorla amara, cardo). Sensazioni che ritornano all'assaggio, in un sorso che chiude secco e piacevolmente amaricante, dopo essersi aperto invece sulle dolcezze della frutta e del miele. Beverina, vivace, vinosa. Se c'è una birra territoriale, è questa. Notevole anche la Open Mind, che vede la presenza di croatina.

#2 - Bruton – Limes (6.5%)

via San Marco, 368 – LUCCA – www.bruton.it


Al secondo posto, l'Italian Grape Ale di questo birrificio toscano, prodotta con una parte di mosto di vermentino della Fattoria di Magliano. Una birra che ci ha colpito perché gioca con la freschezza, e trova un perfetto punto di equilibrio tra luppoli, malto e uva, che declina in una vena acida e minerale che solletica il sorso. Profumi di grande piacevolezza: frutta bianca, con una punta citrica e un leggero erbaceo. Da aperitivo, rischia di essere assassina: scende giù che è un piacere.

#1 - Barley - Baccusardus Beer (7%)

loc Is Tramatzus – zona PIP – lotto n. 62 B – MARACALAGONIS (CA) – www.barley.it


Non poteva che essere lui, il vincitore: Nicola Perra, il geniale mastro birraio di questo birrificio sardo, vero precursore di questo stile, con le sue sperimentazioni decennali con la sapa (il mosto cotto). Alla cieca, quattro birre (su sei assaggiate) si sono posizionate ai vertici della classifica. Su tutte la Baccusardus, nata nel 2014 per festeggiare i dieci anni di un'enoteca di Villasimius, ma che, visto il successo, è rimasta in produzione. Si tratta di una double blanche arricchita da sapa di nasco, vitigno autoctono che dà origine a un vino liquoroso dalla zona del Cagliaritano.

È una birra grandiosa, dalla bevibilità pericolosa, dettata dall'acidità dell'uva e dall'uso moderatissimo dei luppoli. Di grande piacevolezza i profumi: ci sono le note abituali delle blanche (coriandolo, scorza di arancia amara), fiori d'arancio, curiose note vinose. In bocca, è diretta, estiva, e giovane: per berla dobbiamo andare a Villasimius, nell'omonima Enoteca. Di Barley (ne parleremo prossimamente in un articolo dedicato) abbiamo assaggiato anche la BB7, BB9, BB10, BB Evò e BB Boom.

Le altre birre



Discreta la Alchemy del Birrificio della Granda: birra ambrata dal tono alcolico importante (9%) brassata con mosto di uve aromatiche di vitigno moscato. Buon corpo, fruttata e vinosa, ma un po' impegnativa. Del Birrificio Aurelio è da assaggiare la Filo Bianco, prodotta con aggiunta di mosto d'uva malvasia puntinata, autoctona del Lazio: è equilibrata e piacevole (più della sorella Filo Rosso). Da aperitivo, leggera di corpo, con l'acceleratore premuto sulla freschezza e un'acidità quasi pungente è la Filare! di Birra Pasturana (4.5%, con mosto di cortese): secca e rinfrescante, con una piacevole albicocca sul finale. Più controverse la Moscata di Birranova, decisamente torbida all'aspetto, ricchissima di frutto (il mosto d'uva moscato si sente tutto). Manca di equilibrio. Estrema la Perbacco! del Birrificio Gedeone, con mosto d'uve biologiche: il naso non è pulitissimo, acida all'assaggio.


Il commento di Massobrio
- Detto questo, e considerando che Barley è un outsider, un gigante, la birra che ha convinto tutti è decisamente quella di Bruton. Rimane la controversia sul campione della Birra del Borgo: il voto più basso per me (che su ilGolosario ho recensito fra i primi questo birrificio) e il voto molto alto di Alessandro e Fabio, con apprezzamento anche di Andrea Voltolini. Pareri generazionali? Ai voi l’ardua sentenza.

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