Un racconto del fumo tra le vie di San Lorenzo in Banale per la Sagra della Ciuìga

A metà ottobre sono terminati quasi tutti i lavori in campagna. Anche delle rape coltivate con molta cura dagli abitanti, spunta solo qualche fronte rosso-viola da questa terra cui fa da sfondo il Gruppo del Brenta, quasi a proteggere la 1500 anime di San Lorenzo in Banale.
Erik si è chinato davanti alla stufa dell’affumicatoio comune della frazione di Senaso e, dopo un cenno ai compagni che lo stanno osservando, sfrega un fiammifero sulla scatolina. Ed ecco io, per un attimo, illumino il suo volto prima di, trasformato in fumo, cominciare molto lentamente a salire in aria, uscendo dalla stufa piena di legna. Ho fatto il mio solito giro di pattuglia tra le centinaia di salami alla rapa detti “ciuìghe”. Nh!? Il numero dei pezzi è aumentato rispetto all’anno scorso? Qui ce ne sarà qualche quintale! La carne e le rape sono ben amalgamate e ben macinate e in più insaccate con grande precisione. La tecnica di produzione di questi ragazzi è migliorata alla grande!

E io ora dovrò scaldare e affumicare queste ciuìghe per circa 12 ore. Ma oggi è una giornata calda e c’è ancora un po’ da aspettare all’arrivo del lunghissimo inverno. Così, all’invito del sole di mezzogiorno, ho provato a uscire dalla casetta per un attimino e andarmene un po’ a zonzo.
Erik dice “Eravamo in 5 al bar del paese e chiacchieravamo dei racconti di mio nonno che faceva le ciuìghe. Siamo tutti cuochi di mestiere, così è nata per scherzo l’idea di farcele per conto nostro. È successo 4 anni fa.” Oltre a Daniel e Samuel c’era un po’ di gente del paese arrivata a curiosare e tutti parlavano appassionatamente di questi salamini. Passando davanti a loro naso, li ho lasciati che si sfregavano gli occhi per il bruciore e sono scivolato via per il vicolo, fra i muri bianchi della frazione e così, man mano, sono volato più in alto sopra il paese.

Di lassù puoi vedere l’acqua gelida come il ghiaccio che sgorga dal Brenta, il verde pieno di vitalità dei prati che si aprono fra le montagne rocciose e digradano in meleti, vigneti e migliaia di piccoli orti e nelle 7 ville, le frazioni del paese, le vasche scavate in pietra piene d’acqua pulitissima. Dall’alto lo si capisce bene perché S. Lorenzo in Banale sia stato scelto come uno dei 100 borghi più belli d’Italia! Fare un giro in alto per tutto questo paese che è unito a Dorsino, il comune accanto, mi dà una sensazione troppo rinfrescante, non mi fa bene; allora provo a ridiscendere in centro.

In un angolo del supermercato un giovane che si chiama Roberto sta lottando contro la carne di maiale e le rape. Ma il suo sguardo, rispetto a quello rilassato di Erik, Samuel e Daniel, è un po’ diverso. Lui se ne sta in silenzio, lava le rape, le affetta, le fa cuocere e poi le strizza con tutta la forza per eliminare l’acqua e le mescola con la carne. La Famiglia Cooperativa Brenta Paganella dove lavora lui, fondata nel 1893 è l’unico produttore di ciuìghe riconosciuto del mondo. Infatti oggi produce 100 quintali di ciuìghe all’anno. Esclusivamente con le rape coltivate dai piccoli produttori del paese e con la carne di maiali nati e allevati all’interno della provincia di Trento, affumica i salami tradizionali del paese, le ciuìghe appunto. È vero che ormai è il turismo a portare ricchezza al paese. Tuttavia la memoria storica della vita contadina di questo posto è proprio la ciuìga, che sono proprio io a portare alla giusta affumicatura, da più di 150 anni. Provate a chiederlo a chiunque nel paese. Non è affatto un caso che sia stata riconosciuta anche come presidio di Slowfood.

Trovandosi alla bocchetta della Val d’Ambièz, su un rapido pendio, non era facile praticare né la pastorizia, né la coltivazione. I ricordi degli anziani ci raccontano della vita povera e dura di una volta come fosse successo ieri. Il sig. Germano ha più di 80 anni. Stende le noci fresche sotto il sole nella sua cascina da dove può scorgere tutto il panorama del suo paese. Anche lui è uno di quelli che tramandano i ricordi della vita di una volta.
In autunno uccidevano un maiale e, dapprima utilizzando le parti più belle della carne, facevano un altro salume, la luganega, e poi, con gli scarti della carne, il polmone, la testa, il cuore e un po’ di sangue tanto per dare il colore, il tutto mescolato con le rape, facevano le ciuìghe. Il gusto lo davano aglio, sale e tanto pepe. Germano si ricorda che, una volta, per 3 parti di carne, se ne mettevano 7 di rape. Nonostante tutto, alla domanda se preferisca la luganega o la ciuìga, lui risponde: “Mia madre per pranzo faceva cuocere sempre cavolo e patate, poi due ciuìghe e in più la polenta.” E poi aggiunge: “Non è male neanche la luganega, ma la ciuìga è particolare!"

Oggi la percentuale di carne e rape in una ciuìga è stata invertita, così è diventato un salame ricco. Tra l’altro, anche io sono cambiato da quello di un tempo. Tanti anni fa usavano le conifere della zona. Ma oggi dicono che la resina, che il pino rilascia durante l’affumicatura, faccia male. La gente per questo ha cominciato a usare faggi o altri legni più pregiati. Però, mi raccomando, non dimenticatevi che il nome “ciuìga” deriva dalla sua forma, che fa ricordare proprio la pigna d’abete e, in dialetto, “ciuìga” vuol dire pigna.

Oplà! A fianco del supermercato passano frettolosamente 3 ragazzi giovani. Sono Francesco in testa, Patrik e Patrizia, tutti presi dai preparativi per la Sagra della Ciuìga che comincia il 29 ottobre, per 4 giorni fino al 1° novembre. È incredibile come arrivino migliaia e migliaia di visitatori da fuori paese, attirati da questo piccolo salame per far festa e mangiarne tutti insieme la produzione. E non sono solo anziani e adulti, ma anche giovani! Tutti insieme uniti a far nascere questo piccolo miracolo.
Chiamano una banda musicale, presentano un nuovo piatto di ciuìga con legumi particolari veneti, i giàlet e, insieme ai 15 espositori di prodotti alimentari e ai circa 60 di prodotti artigianali vari selezionati, aiutano a preparare le casette per la vendita e altro ancora.

Sembrerebbe una missione quasi impossibile, organizzare tutto questo solo con la forza della pro loco del piccolo paese. Invece, per i giovani, è proprio questo che diventa una grande avventura. Ah! Ho più solo il tempo di fare a questi ragazzi un piccolo scherzetto, solleticando il loro naso… perché è l’ora di tornare all’affumicatoio.

Tornando a Senaso, vedo i nostri 3 che passano il tempo facendo due chiacchiere. Fra poco li raggiungeranno anche gli altri due del gruppo, Fabiano e Lorenzo. “Vedi… se noi giovani lasciamo perdere la tradizione, è come condannarla a morire.”... “È un lavoro che ha bisogno di molta pazienza, ma lo sai che basta starci dietro con cura per farle diventare buone!” “La ricetta? Ah, ho preso io quella di mio nonno. I pezzi di sughero? Anche questo me l’ha insegnato lui. Le ciuìghe appena fatte contengono molta umidità; è meglio che non rimangano attaccate l’una con l’altra. Allora tagli un tappo di sughero a cuneo e lo incastri fra due salami. Dopo un po’ i salami, asciugandosi, dimagriscono e passa più aria. Così il pezzo di sughero cade da solo. È un bel sistema, no?
Io silenziosamente scivolo dentro l’affumicatoio e do un saluto prima alla stufa, poi anche ai numerosi pezzi di sughero che si trovano per terra, poi me la filo di nuovo dal finestrino sopra il portone per sparire a dissolvermi nel cielo.

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