Nel racconto di Motoko Iwasaki la storia di Akiko, la reporter freelance specializzata in foto di campagne, ortaggi e contadini al lavoro

Ecco, prova a toccare qui.” All’invito di Giuseppe, Akiko appoggiò la sua mano su di un cavolo verza grande come un pallone da basket. Le foglie strettissime, chiuse l’una sull’altra, respinsero il suo palmo. Lui aggiunse “Solo se senti questa durezza è da raccogliere” e diede un colpo secco al fusto grosso del cavolo.

Akiko è una fotografa professionista però, quel mattino, non aveva la sua macchina fotografica. Invece sia lei che io, la sua coordinatrice e interprete, eravamo state dotate di una specie di machete. Montalto Dora è sempre più conosciuto per lo straordinario cavolo verza e l’attività di tutta una comunità per far rinascere la tradizione di questa coltivazione è anche all’origine del successo sempre crescente della sagra che si tiene ogni anno a novembre (Quest’anno dal 18 al 22,  www.comune.montalto-dora.to.it ). In quel giorno i produttori associati radunati nel campo erano quasi tutti pensionati. Akiko era lì a immortalare i loro cavoli e a farli conoscere in Giappone.

Tuttavia la ragazza, insolitamente abbronzata per una giapponese a forza di lavorare in campagna, si muoveva con scioltezza tutta concentrata a dare un colpo secco ai fusti del cavolo, ma nessuno scatto. Era chiaro a tutti che, sia la sua salopette da lavoro che gli stivaletti di gomma conoscevano benissimo l’odore e il colore delle terre italiane.  

All’inizio questi uomini piemontesi osservavano da distanza e con una certa diffidenza noi due giapponesi, insolite ospiti forse anche un po’ inquietanti, ma cominciarono presto a farci domande, partendo da quelle non troppo invadenti e, man mano che prendevano confidenza, cominciarono a dirci che il nostro colpo al cavolo era da dilettante o che eravamo molto brave per essere principianti e qualcuno prese a vantare la grandezza e la bellezza del suo cavolo da concorso.

Arrivava subito un altro a dirci che il suo era ancora più grande, indicando un cavolo contrassegnato da un bastone proprio in mezzo al campo color verde smeraldo. Echeggiavano le risa. Ormai anche Akiko era in grado di chiamare quasi tutti per nome. Sopra le distese coltivate, un parapendio solcava in silenzio il cielo azzurro di pieno autunno. Nel pomeriggio entrò un trattore e, mentre i cavoli raccolti venivano impilati con cura nel cassone, finalmente Akiko sollevò la sua Canon EOS 5D Mark III e iniziò a catturare l’anima degli uomini sudati insieme ai loro cavoli.

Abbassò il suo corpicino quasi per terra; se si metteva in ginocchio la sua visuale era ancora più bassa dei lavoranti e la sua salopette era ormai sporca di terra ovunque. Ancora con la mia accetta in mano, dissi fra me e me che non avevo mai fatto un coordinamento di questo genere! Ma la fotografa mi aveva detto che, senza lavorare in quel modo, non avrebbe potuto sintonizzarsi sul respiro dei contadini e quindi avrebbe rischiato di perdere qualche scatto veramente importante. “…ü, che bele ste foto! A sun parei i nos coi?” (…che belle queste foto! Sono così i nostri cavoli?)  “Cavolo!”  

Commenti, versi di stupore e risate fra quelli che guardavano il display della sua macchina fotografica, mi ragguagliavano sulla buona riuscita del lavoro. Akiko Sakamoto, 36 anni, ormai da più di 10 anni ha l’occhio nel mirino della sua Canon. La prima volta che la conobbi, alla stazione di Santhià, mi stupì molto perché trascinava da sola due valigie grandi, un treppiede e una serie di luminarie per un totale di circa 100 chili, su per le scale scomodissime del sottopassaggio, fino in cima. Mi sorrise dicendo che era abituata a girare così per tutta l’Italia. In Giappone aveva trovato lavoro presso un’agenzia pubblicitaria e faceva servizi sulla cucina. Ma, piuttosto che la perfezione dei piatti, aveva sempre preferito fotografare le persone che lavorano nei campi; diceva che, in mezzo a loro, percepiva a pelle che stava facendo qualche cosa di importante. Così, alla fine, si licenziò nel 2012 e diventò una freelance, iniziando a girare tutto il mondo come fotografa specializzata in verdure e piante. Ci mise poco ad accorgersi della straordinaria ricchezza e varietà delle verdure italiane, ma anche del fatto che, in Giappone, nonostante siano amate e ricercate, non è ancora ben conosciuta la tecnica della loro coltivazione.

Così ora va su e giù fra Italia e Giappone e scatta foto di campagne, ortaggi e contadini al lavoro. In Giappone accetta tutto il lavoro possibile, poi viene in Italia a sue spese, sceglie una verdura fra le più tipiche e tradizionali e fa il servizio sulla sua coltivazione, partendo dalla semina fino alla raccolta, fase per fase. Sempre, quando arriva in un campo, se ne sta lì per circa una settimana senza scattare. Si alza all’ora in cui inizia il lavoro e, insieme ai contadini, se ne va in campagna e segue tutti i lavori, aiutando, fino alla fine della giornata. A volte dorme e mangia insieme ai lavoratori; solo alla fine, per un paio di giorni, prende in mano la sua Canon. Ormai ha assorbito il ritmo e il respiro dei lavoratori, ritaglia il volto vivo delle verdure sanissime alla ricerca di una singolare bellezza e poi i momenti più importanti di ogni giornata lavorativa, soprattutto quelli quotidiani.

In questo modo ha fatto i suoi servizi sul radicchio (tardivo, precoce e di Castelfranco) e anche sul mais bianco in Veneto, sui carciofi romaneschi in Lazio; è andata a raccogliere asparagi selvatici e porcini in Toscana e sta lavorando sul cardo gobbo e sul cavolo verza in Piemonte. È già prevista la pubblicazione del suo libro in Giappone ma, per ultimarlo, ha molti altri ortaggi in programma; quindi verrà ancora in Italia nei prossimi anni.

È proprio necessario fare così? Devo dire che in Giappone, quando ero piccola ma spero anche ora, se vedevamo una persona più anziana portare una borsa pesante della spesa, noi bambini andavamo ad offrire il nostro aiuto e la portavamo noi al posto suo. Quando i genitori facevano i lavori di casa, era giusto aiutarli sia per affetto, ma anche per dimostrare rispetto a chi lavora; questa è l’educazione con cui siamo cresciuti. Così anche in Italia, se capita di andare a trovare un vignaiolo in vigna durante la sfogliatura, ci mettiamo al suo fianco e allunghiamo una mano verso le foglie e, se vogliamo fare due chiacchiere con uno che sta facendo una potatura nell’uliveto, cominciamo per prima cosa a chiedere se abbia un altro paio di forbici.

Anche se Akiko fa parte di una generazione più giovane, è nata nell’isola di Kyushu, dove la natura è molto ricca e i suoi genitori, che facevano i professori di liceo, molto spesso le parlavano dell’importanza di essere sincera e onesta sia con gli altri che con se stessa. Quindi, sulla sua metodologia di lavoro, non trovo niente di strano. Poi succede che, quando noi Giapponesi offriamo ai contadini italiani questo tipo di partecipazione, questi si stupiscono piacevolmente e reagiscono subito con franchezza e grande simpatia, facendoci vedere le loro tecniche o i segreti del lavoro. Anche per questo diventa un grande tesoro ciò che impariamo dagli italiani in campagna.

Anche l’autunno successivo accompagnai Akiko dagli amici di Montalto Dora. Quella volta lei aveva intenzione di fotografare partendo dalla raccolta fino alla fine della Sagra del Cavolo Verza. Eravamo a casa di uno dei soci e i coltivatori arrivavano uno dopo l’altro. A un tratto fuori cominciò a cadere una pioggia gelida che diventava sempre più intensa. Nella cucina scaldata dalla stufa a legna, la padrona di casa offrì ad Akiko i baci di dama fatti da lei stessa insieme a una tazza di tè. Giuseppe contro voglia le disse “Noi ad ogni modo dobbiamo fare la raccolta. E tu, Akiko, cosa vuoi fare?”  “Ah, non ti preoccupare! Vengo anch’io!” Gli rispose, poi s’infilò nella solita salopette e calzò gli stivaletti. Questa volta tirò fuori e installò a un tratto anche un impermeabile per la sua macchina fotografica. I compagni di Montalto Dora per un attimo guardarono fisso tutto quello che faceva con la macchina poi, come se avesse preso coraggio da quella ragazzina, qualcuno di loro interruppe vigorosamente quel momento dicendo a tutti “Ora andiamo!

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