Il Cecubo e il Falerno, ma anche vini bianchi tipici campani

Ci sono nomi che evocano una e una sola atmosfera. Cecubo e Falerno, per esempio. Basta pronunciarli, e si ritorna sui banchi di scuola, alle odi di Orazio, alle citazioni di Virgilio. Vini mitici, da serbare negli scaffali più nascosti, da lasciare invecchiare, come si confà ai nettari pregiati. Nomi che arrivano diretti dall'antica Roma, ma che hanno un presente vivo e vegeto.

Basta assaggiare i vini di Villa Matilde, cantina di Cellole, provincia di Caserta (S.S. Domitiana, 18 - tel. 0823932088), la cui storia è molto più recente, e che getta le radici nella metà del secolo scorso. Francesco Paolo Avallone – primo lavoro, avvocato – è appassionato di vini antichi. Ne fa un motivo di sfida e, con l'aiuto di alcuni docenti della Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli, individua pochi ceppi di viti di Falerno sopravvissute alla fillossera. Le reimpianta e dà vita a Villa Matilde.

L’azienda oggi, guidata dai figli Maria Ida e Salvatore, si è ingrandita in tre tenute: le Tenute di San Castrese e Parco Nuovo, oltre 110 ettari, di cui 70 vitati, nel territorio dell’Ager Falernus, lungo le pendici del vulcano spento di Roccamonfina, in provincia di Caserta; le Tenute di Altavilla, oltre 25 ettari in provincia di Avellino e le Tenute Rocca dei Leoni, ubicate nel cuore del Sannio Beneventano. La nuova sfida è arrivare ad un'azienda a “emissioni zero”, un percorso intrapreso nel 2009. Intanto, si continua a produrre Cecubo e Falerno, oltre a vini bianchi tipici del territorio campano, dal profilo minerale e sapido, di buona vigoria e piacevolezza.

Come il Fiano d'Avellino 2013 Tenute di Altavilla, che impone al naso le sue fresche note agrumate e vivide sensazioni minerali, quasi sulfuree, di pietra lavica. Il sorso è fresco e sapido: come una piccola lama che scivola via pungendo il palato, senza far danni. Più immediato il Greco di Tufo Docg 2013 Tenute di Altavilla. Al naso si mescolano agrumi e pesca bianca, mentre in bocca è vigoroso, più per la sapidità che per la freschezza. Il Falerno del Massico 2013, prodotto nelle Tenute di San Castrese e Parco Nuovo, da uve 100% falanghina, invece, gioca nei profumi con salvia e rosmarino, fiori di ginestra e pesca gialla. Un naso “mediterraneo”, che si scompone in bocca in un sorso decisamente sapido e fresco. Più morbido e rotondo appare il Falerno del Massico Dop Vigna Caracci 2010, da uve 100% falanghina, anche perché una parte del mosto fermenta in barriques di Allier, per circa 20 giorni, prima  di affinare in acciaio e in bottiglia. È un vino dal colore giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso, spicca la buccia d'arancio, la rosa canina, una nuance di vaniglia. All'assaggio, è più largo che lungo.

Ci sono poi i rossi “storici”. Il Falerno del Massico 2010, che nasce da uve aglianico (85%) e piedirosso (15%), si fa apprezzare fin dal naso, piacevole e fruttato, con tanta mora e ciliegia, e una leggera nota ematica di sottofondo che si intreccia a sensazioni fumé. Il sorso è rotondo, ma fresco e minerale, dai tannini addomesticati. Ha ancora vita davanti.
Infine, il Cecubo 2012, senza solfiti aggiunti, blend di piedirosso, primitivo e antiche varietà autoctone, che nasce da terreno vulcanico. Al naso, è un concentrato di prugne, frutti di bosco, fichi secchi, mosto cotto. Il sorso è ancora un po' ruvido, per via dei tannini belli vispi, e di una mineralità prorompente. Piace però, e se lo serberemo nello scaffale più in alto, come consigliava Orazio, per attenderlo ancora, avremo sorprese.

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