La settimana che ci lasciamo alle spalle ha avuto l’epilogo, venerdì e sabato, di due momenti legati al tema alimentare: venerdì la protesta degli allevatori di Coldiretti in tutte le piazze d’Italia contro il calo del prezzo del latte; sabato la convention di Milano dedicata all’Expo. Qui ci occupiamo della prima, perché la situazione è davvero tragica: il calo del prezzo del latte mette a repentaglio i nostri formaggi tipici, oltrechè una discreta fetta di occupazione. Certo è che la filiera autarchica della nostra agricoltura, che un giorno non lontano andremo a studiare sui libri di economia, s’è spezzata. “Era ora!” dirà qualche economista che ha studiato tutte le teorie, tranne una, quella della flessibilità dell’azienda diretto-coltivatrice e del suo ruolo multifunzionale nella società. Oggi, nell’anno che il primo ministro Renzi ha già battezzato “Felix”, il prezzo del latte alla stalla è calato del 19%, mentre quello al consumo pare sia cresciuto di un 1,2%. Detto questo, per i consumatori, il latte non ha la medesima sorte del petrolio (a proposito di congiunture felix) ma il vero problema resta la filiera della qualità che un sistema come quello agricolo italiano ha garantito fino ad oggi. Eh si, perché si fa presto a dire che il Made in Italy alimentare è un gioiello agli occhi del mondo, ma dell’origine da cui questa qualità è generata non parla mai nessuno (?). E mi farebbe piacere presenziare nelle piazze d’Italia, con quella degustazione cui fui invitato a Piacenza un anno fa: c’era un formaggio anonimo a forma di grana e un vero e proprio Grana Padano. L’assaggio diede un responso da 1 a 10: insapore e gommoso quello anonimo, granoso (nomen omen) e persistente il nostro. E la prima cosa che balzò in mente fu: ecco il latte italiano che fa la differenza. Esattamente quello che oggi viene pagato 0,36 euro il litro e che è diventato anti-economico per il primo anello della filiera. Praticamente un caffè costa quanto tre litri di latte (e pensate alla fatica per ottenerlo). Ma perché anche il secondo anello, la distribuzione, non s’inventa un modo per sostenere questa origine ? Se farà così anche il terzo anello, i consumatori, parteciperanno a una cosa molto italiana: la nostra irrinunciabile qualità. Dire questo alla vigilia dell’Expo (mancano più o meno 80 giorni) ha il sapore di un’occasione che potrebbe essere mancata. Oppure, semplicemente, ha il sapore della colonizzazione delle multinazionali che possono anche deprimere il prezzo del latte, per portare a risultati come 32 posti di lavoro persi a fronte di un incremento di importazione di latte dall’estero (+23%). E’ sparita una stalla su 5 e le sopravvisssute oggi sono 36 mila. Nel 2014 hanno prodotto 110 milioni di quintali, ma nel frattempo ne abbiamo importati 86 milioni. Il 31 marzo, dopo 30 anni, sarà decretata la fine delle “quote latte” e regnerà l’anarchia. Con quale latte rischiano d’essere prodotti i nostri formaggi (quelli dop sono 48) ? Un ultimo dato: il valore del comparto lattiero caseario italiano è di 298 miliardi di euro. Ma il dato più curioso, al di là dei numero, è che il 53% delle aziende agricole che allevano sono in montagna. Se spariscono dalla montagna, il prezzo lo pagheremo tutti. In termini di degrado e di presidio di un territorio che non ci sarà più. Questo si è un allarme gravissimo.

ilGolosario 2024

DI PAOLO MASSOBRIO

Guida alle cose buone d'Italia

ilGolosario Ristoranti 2024

DI GATTI e MASSOBRIO

Guida ai ristoranti d'Italia