Convivialità, freschezza, attenzione alla salute, rispetto per le materie prime (e tanto lavoro ben organizzato) sono le linee guida di Simone Padoan dei Tigli di San Bonifacio, uno dei pizzaioli più copiati d’Italia
Pizza, pizza contemporanea, focaccia farcita… Siamo liberi di chiamarlo come vogliamo quel disco di pasta cotto nel forno a legna e farcito con ingredienti cucinati con grande cura, che potrete gustare ai Tigli di San Bonifacio (Vr) (Via Camporosolo 11 - Tel. 045 6102606).
Si cura più della sostanza che dei titoli, Simone Padoan, che a 50 anni è diventato un esempio da imitare per tanti nuovi pizzaioli “contemporanei”. Paolo Massobrio, nel suo libro Del bicchiere mezzo pieno, ci racconta di quando a Vighizzolo d’Este, alla sede del Molino Quaglia durante il Pizza Up 2019, fu presentato l’Almanacco della Pizza: “davanti a cento giovani pizzaioli “contemporanei” in divisa, al nome di Simone Padoan è partito un applauso infinito, con tutti i suoi colleghi in piedi che gli davano il tributo meritato. Simone aveva dimostrato che la pizza poteva diventare un piatto italiano, al pari delle creazioni della grande cucina del nostro Paese.”
Gli abbiamo chiesto di raccontarci l’origine della sua reinvenzione della pizza, partendo giustamente dalla sua stessa origine.
Provengo da una famiglia di origine contadina, ma con la ristorazione nel sangue e sono l’ultimo di nove figli. I miei fratelli, prima di me, avevano gestito vari locali e quindi anche a me è sembrato naturale, in età da lavoro, aprire la mia pizzeria, era il 1988. Nel 1994 sono arrivato a gestire i Tigli. Negli anni ’80 e ’90 proliferavano le grandi pizzerie, la tendenza era di estendere il più possibile il numero di coperti e la proposta gastronomica (pizzeria, ma anche piadineria, spaghetteria, ristorante ecc..) per attrarre il maggior numero possibile di clienti e vedere crescere i profitti con un’offerta molto standard e a scapito della qualità. Nella mia famiglia, io avevo imparato che è meglio fare poche cose fatte bene, ma, pur essendone convinto da sempre, in quel periodo seguivo l’onda come tutti, fino a quando non è arrivata la crisi.
In che senso la crisi?
Una progressiva perdita d’interesse verso il mio lavoro. Nel 1999 avevo perduto completamente la voglia di fare il pizzaiolo e ciò ovviamente si rifletteva sulla resa del locale, fino a quel lunedì nero in cui facemmo zero coperti. Pensi che ora il lunedì è il giorno in cui facciamo più coperti nella settimana, ma quella sera invece non si presentò nessuno e per me fu il segnale che era tempo di cambiare qualcosa. Il locale deve essere un contenitore a immagine e somiglianza del titolare, il mio dovevo tornare a riempirlo con un modo personale e mio di fare la pizza. Così ha preso forma la mia idea: poche cose fatte bene, ovvero poche pizze semplici ma non anonime che parlassero di convivialità, freschezza, salute e rispetto per le materie prime.
Come è riuscito a fare apprezzare questa idea?
Da subito sono stato sicuro che la mia idea avrebbe funzionato e mi sono preso tempo per realizzarla al meglio: due anni. In cui ho frequentato un ristorante e un panificio per imparare, ho cambiato tutti i fornitori, cercando di dare maggiore qualità e identità territoriale. Il percorso di ricerca sui fornitori è andato avanti per anni, tant’è vero che in seguito ho conosciuto anche le farine Petra del Molino Quaglia che ho adottato e i loro corsi sulla lievitazione e il lievito madre che andavano esattamente nella stessa direzione in cui volevo andare io. Comunque, tornando alla mia crisi del 1999, ci misi due anni a creare un menu nuovo, alternativo, per chi volesse conoscere una pizza diversa. Lo proponevo il mercoledì sera. Erano serate dedicate a un percorso di degustazione per 2-3 tavolate, in cui venivano presentati anche dei produttori e le pizze venivano spiegate con calma e servite già spicchiate. Tutti assaggiavano tutto. Le serate hanno funzionato da subito e, dopo poco tempo, hanno iniziato a fare il tutto esaurito. Ma il vero e proprio boom è arrivato al momento giusto, cioè nel 2005.
Margherita CroccantePerché il 2005 era il momento giusto?
Perché ci sono giorni di lavoro dietro a questa nuova offerta di pizza. Vengono gestiti tanti tipi di impasti diversi, fatti lievitare per giorni interi, quindi il giorno prima sono formati i dischi di pasta precotti e abbattuti, le farciture sono cotte e preparate a parte con un lavoro di cucina da ristorante, infine la pasta viene rigenerata in forno e farcita prima di essere servita. Un lavoro del genere ha bisogno strumenti, di una squadra organizzata, ci vogliono anni per strutturarsi: se ci fosse stato il boom di richieste subito, semplicemente non saremmo stati pronti a soddisfarle e saremmo implosi. Invece nel 2005 avevamo 5 anni di esperienza: eravamo pronti. Avevamo appena vinto alcuni premi prestigiosi e a un certo punto arrivò la troupe del programma Matrix a fare un servizio nella nostra pizzeria. Il giorno successivo a quello in cui il servizio era andato in onda ricevemmo tante prenotazioni da riempire il locale per tutti i mesi successivi. Da allora in tanti hanno iniziato a guardarci in modo diverso, a copiare i nostri menu e anche quello è un segno che le cose funzionano. Oggi facciamo solo 45 coperti, ma il locale è sempre pieno quando è aperto e nel periodo Covid abbiamo brevettato un box per spedire le nostre pizze, da comporre e rigenerare a casa, con un servizio di corriere a freddo. Abbiamo richieste da tutta Italia.
Margherita sofficeParliamo allora di pizze: quanti tipi ne proponete e quali sono le più richieste?
Proponiamo solo 20 tipi di pizza. La più famosa è certamente la pizza con il gambero, che racchiude secondo me tutto il sapore del mare, perché il corpo cotto del gambero si accompagna a una bisque di gambero dal sapore molto iodato preparata con teste e carapace dell’animale, rhum e verdure, poi ci sono i pomodori datterini fermentati che aggiungono consistenza carnosa, i cetrioli in salamoia per salare e infine la burrata.
Pizza con il gamberoÈ molto apprezzata anche la Polenta e Baccalà dove il baccalà mantecato è appoggiato su un impasto fatto con farina di mais, che ho chiamato pan polenta e ricorda un po’ i pop corn. Poi c’è la Margherita Croccante dove l’impasto fatto con farine Petra 1 e 5 viene lavorato per tre giorni e cotto al vapore (subisce una tripla cottura), ma anche la Margherita Soffice.
Pizza Polenta e BaccalàQuindi dietro a ognuna di queste pizze possono esserci molti giorni di lavoro come per i piatti prestigiosi di alta cucina?
Sì, infatti non le chiamiamo nemmeno più pizze, sono piatti di cucina a tutti gli effetti. Non mi interessano molto le definizioni, ma il fatto che venga apprezzato ciò che portiamo in tavola. E l’apprezzamento che cerchiamo non è tra l’altro quello della testa, di chi cioè rimane impressionato dal racconto del lavoro che c’è dietro ogni preparazione, ma quello puro e semplice della pancia di chi si siede ai nostri tavoli e rimane colpito dalla nitidezza dei sapori che emergono dal piatto.
Ph. Aromi.group