L'ambiente, gli arredi e le stoviglie sono simili a quelli ritrovati negli scavi di Pompei e le ricette si ispirano al "De Re Coquinaria" di Apicio
L’idea che potesse trattarsi del solito locale acchiappaturisti, per di più un po’ kitsch, ci rendeva ovviamente molto perplessi. E tuttavia la curiosità di provare qualche antica ricetta romana, sia pure riattualizzata, ci stuzzicava. Una veloce telefonata ed eccoci nel cortile di questo particolarissimo locale situato a non poca distanza da Porta Marina, ingresso principale degli scavi di Pompei (via Masseria Curato - tel. 081 18557911 - www.caupona.it).
È qui che da appena un anno due giovani hanno dato vita al progetto di una cucina che consente a chi viene a pranzo o a cena di immergersi per qualche ora in una scenografia romana e di rivivere per quanto possibile un pasto di questa remota epoca. Certo la componente teatrale gioca un ruolo significativo: la sala della Caupona, nome col quale i romani indicavano l’osteria, riproduce in modo rigorosamente fedele il tablinium di una villa pompeiana; tutte le tavole e le sedie in legno, così come le stoviglie (ad esclusione delle posate), sono la riproduzione di oggetti ritrovati nei vicini scavi; persino chi vi servirà sarà vestito come un oste romano e, solo se lo vorrete, anche per voi ci sarà un abito in linea con la moda della Roma antica. Tuttavia la cucina, lungi dall’essere improvvisata, è invece fatta oggetto di una cura notevole.
Al menu moderno abbiamo preferito, spinti dalla situazione, quello messo a punto a partire dal “De Re Coquinaria”, antichissimo ricettario di Marco Gavio Apicio risalente al I secolo dopo Cristo. E la nostra ricerca di sapori remoti, ovviamente contenuta dalla dichiarata impossibilità di disporre in molti casi di prodotti ormai perduti per sempre, non è andata affatto delusa. L’essenzialità dei gustosi lupini in foglia di alloro; il forse un po’ troppo asciutto petto d’anatra (Anatra alla Lucullo), laccato al miele di castagno e servito con crudo di verza in carpione e crema di sedano montano; l’ottima zuppa di farro e lenticchie (Lenticula de castagneis), resa particolarissima dal singolare cotto d’uovo e dalle castagne in salsa di Apicio; il potente stinco di maiale brasato (Porcellum de Nuceria) con crema di funghi e bietola stufata alla liquirizia; e infine il sapore fresco e intrigante delle sfoglie di spelta croccante e mousse di ricotta di pecora con mostarda di noci e melograno diventavano i tasselli di un mosaico di gusti del tutto inatteso e davvero capace di stupirci.
Il tutto innaffiato dal gustoso Mulsum, un vino speziato con pepe zenzero e miele, riprodotto con l’intento di dare l’idea della bevanda con cui i romani accompagnavano i loro pasti. Certo abbiamo pranzato seduti sulle sedie anziché sdraiati sul triclinium. Marco e Nello però ci stanno pensando e, presto nel giardino della domus, sarà possibile fare anche questa esperienza. Ma questa sarà un’altra storia…