Dalle Grave e dalle vigne coltivate “di qua e di là” del Tagliamento, ultimo grande fiume selvaggio, tre Sauvignon di straordinaria personalità della famiglia Pittaro

Quando si trova il Friuli nel bicchiere – e intendiamo, il Friuli autentico, con la schiena dritta, con il cuore grande, come le persone forti, coraggiose, tenaci, che lo abitano – be', è sempre un’emozione.
Scoprimmo la grandezza del popolo friulano negli anni Settanta, quando giovani studenti fummo tra coloro che arrivarono come volontari, all’indomani del terribile terremoto, per dare una mano. Vedere la nobiltà di animo e l’indomita laboriosità con cui i Friulani, senza perdere un secondo, iniziarono a risollevarsi e riuscirono a ricostruire il proprio futuro è lezione di vita tra le più preziose mai avute. Eravamo partiti per aiutare, e ad essere aiutati, come persone, fummo noi. Fu proprio allora che, con i vini di quella terra, e va detto, in particolare con i bianchi, iniziò quel dialogo, che poi mai si sarebbe interrotto, e che tuttora continua.

Alcune delle cantine più celebri hanno fama internazionale, alla stessa stregua di quelle piemontesi o toscane per i rossi. Ma chi è osservatore attento, bene ricorderà, come sulla scia dei successi ottenuti dai produttori più noti, soprattutto alla fine dello scorso millennio, molti si fossero messi a produrre, pensando che fosse sufficiente fare spazio in cantina alle barriques e affidarsi a un enologo, meglio se straniero, per conquistare il mercato, con l’illusione che “lasciare la via antica per la nuova” non fosse scelta sciagurata. Morale, per anni, nei bicchieri, non quei vini che ci avevano fatto innamorare di questa regione, bensì tanti, troppi, vini bodybuilding, “palestrati”, costruiti. Una delusione. Da tempo, per fortuna, le cose son cambiate. Soprattutto la generazione giovane, dimostra di avere le idee chiare, e sta contribuendo a far tornare sui suoi passi anche chi aveva pensato che le mode fossero da seguire. L’identità è di nuovo la stella polare, la via da perseguire.

Queste le nostre riflessioni, scaturite dall’emozione che ci ha regalato la degustazione dei vini della cantina Pitars. Ne è titolare la famiglia Pittaro, dagli inizi del Cinquecento impegnata nella coltivazione della vite e nella produzione di vino. Oggi l’attività è nelle mani di Bruno, Mauro e Paolo e dei loro figli Nicola, Stefano, Alessandro, Jessica e Judy, che, con orgoglio e talento, sono impegnati a scrivere la pagina moderna dalla famiglia, le cui prime righe son state scritte agli inizi del Novecento, da Romano, che impiantò nei propri vigneti merlot, vitigno importato dalla Francia in Friuli nel 1880, e poi da suo figlio Angelo, che, tra le due Guerre Mondiali, svilupperà i propri vigneti a San Martino, e poi, nel 1968, fonderà  la cantina a San Martino al Tagliamento, l’azienda vinicola che più tardi prenderà il nome Pitars, cognome della famiglia in dialetto locale, che nel marchio si accompagna al biancospino, pianta usata un tempo per segnare i confini tra i campi. ù

pitars-famiglia.jpg«La friulanità per noi significa legame con il territorio – dice Nicola Pittaro, responsabile commerciale della cantina – una cultura contadina di cui noi siamo l’ultimo baluardo e che porta con sé valori come l’attaccamento al lavoro e la cultura di fare bene le cose. Lavorare in un’impresa famigliare non è facile, perché non si strutturano i processi. Nei momenti più difficili però, quando è necessario tener duro e guardare avanti, la famiglia rivela il suo ineguagliabile valore e dimostra le sue infinite capacità di resilienza e stabilità».
pitars-vigne-casa.jpgL’identità di questa realtà è fortemente legata al fiume Tagliamento e all’ambiente naturale che lo caratterizza. Da qui la scelta di tutelarlo applicando un concetto di sostenibilità a 360 gradi, a partire dalle scelte produttive, tanto in vigneto quanto in cantina, atte a ridurre al minimo l’impatto ambientale. Tra i progetti sperimentali che riguardano la vigna, la ricerca volta ad autoprodurre biofertilizzanti naturali e la promozione di un’economia di tipo circolare, poi l’utilizzo di macchine “intelligenti”, ovvero con tecnologie 4.0, che monitorano le emissioni di Co2 ed erogano solo la quantità di prodotto necessario per i trattamenti, in modo da ridurre al minimo l’intervento sulla natura. E ancora l’impiego per l’irrorazione di prodotti per la difesa della vite di atomizzatori a recupero e per la lotta a insetti dannosi l’uso di metodi alternativi, senza dire di sperimentazioni condotte in collaborazione con l’Università di Udine, come, tra le più recenti, le prove di defogliazione vicino alla vendemmia per abolire antibotritici e favorire la maturazione. Con la vicinanza del Tagliamento, ambiente naturale ancestrale e incompromesso, che permette di contare su una entomofauna ricca di biodiversità e di trovare risposte naturali a problematiche di diverso tipo.
Dal punto di vista strutturale, peraltro, Pitars è stata la prima azienda che, nel 2007, ha deciso di costruire totalmente in bioedilizia la sua struttura di accoglienza, e, in parte, la cantina di vinificazione, con la presenza di pannelli fotovoltaici che permette la produzione di circa 100.000 KW/anno, ovvero di circa il 20% del fabbisogno energetico totale dell’azienda.
pitars-vigneti.jpgVincente la scelta di puntare con decisione sui bianchi fermi, che ancora oggi rappresentano il fiore all’occhiello dell’azienda, sfruttando così al meglio le caratteristiche del territorio delle Grave del Friuli. In particolare, il Sauvignon Blanc in purezza è il simbolo della cantina. 
«Il Sauvignon è un vitigno che interpreta al meglio le potenzialità dei nostri suoli, magri e ricchi di sassi. Proprio i sassi –  spiega Stefano Pittaro, enologo – contribuiscono ad accumulare il calore e a drenare il terreno. I nostri terreni più magri, con forte presenza di sabbie e quindi più asciutti, godono del beneficio di una forte escursione termica e contribuiscono ad una maggiore intensità aromatica e freschezza dei vini. Caratteristiche importanti per ottenere grandi bianchi; basti pensare a zone del mondo, come ad esempio la regione del Marlborough in Nuova Zelanda, in cui terreni di questo tipo permettono di valorizzare al massimo le varietà bianche».

Il Tagliamento è il creatore della pianura friulana, che ha plasmato durante millenni depositando materiali provenienti dall'arco alpino del Friuli Venezia Giulia. Il suolo è quindi alluvionale e raccoglie tutta la ricchezza dei minerali portati a valle dal fiume. I vigneti di Pitars si trovano in diverse zone, con le varietà che sono distribuite in modo da rispondere alle peculiarità dei diversi suoli e ottimizzarne le caratteristiche. Le varietà bianche si trovano sulle ghiaie ricche di minerali, ma più drenanti, della Tenuta San Martino, dove le uve possono esprimere al meglio le loro caratteristiche di mineralità e freschezza. Nell’anfiteatro morenico in cui si trova l’azienda, le correnti fredde provenienti dalle Alpi si incontrano con le brezze temperate dell’Adriatico. A ciò si unisce l’influenza del Tagliamento. 
«Le vigne beneficiano – aggiunge Stefano Pittaro –  sia dell' aria fresca proveniente dalle montagne, che dello scirocco ricco di sali proveniente dal mare. Allo stesso modo, il terreno e l’acqua di cui le vigne si nutrono sono arricchiti dai costanti apporti del Tagliamento: respirano e si nutrono dell'ambiente naturale creato dal fiume, che fortunatamente ha conservato fino a oggi un elevato grado di naturalità»
pitars-tagliamento.jpgPer quanto ci riguarda, un vero tris d’assi, le tre interpretazioni di Sauvignon che abbiamo potuto degustare. Dal profilo aromatico, generoso come un abbraccio, il Friuli Sauvignon Braida Santa Cecilia 2018, che al naso affascina con le sue note di pesca, albicocca e di frutta esotica, e in particolare di ananas, mango e papaya, sostenute da nota agrumata di pompelmo e sentori di erbe aromatiche, e che al palato è ampio, di buona sapidità, con finale lungo che ripropone le note fruttate e di agrumi. Un vino che conferma di valere il riconoscimento ricevuto con il Premio Medaglia d’Oro al Concours Mondiale du Sauvignon 2019 e il giudizio di miglior Sauvignon italiano.
pitars-sauvignon-santa-cecilia.jpgMinerale, di millimetrica precisione, fine, il Venezia Giulia Sauvignon Igt Séris 2019 che si presenta con un caleidoscopio di profumi che va dai fiori di ciliegio agli agrumi, fino ai sentori tropicali e alle note balsamiche con una struttura avvolgente ed elegante, con un sorso dove gli aromi di salvia e basilico rendono la beva molto dinamica.
pitars-seris.jpgVero ambasciatore della maison, e non solo perché bottiglia esclusiva  sia per il numero limitato di esemplari prodotti sia per la ricercatissima e splendida etichetta, il Venezia Giulia Sauvignon Igt Cuntrevint 2019 che nasce da vigne piantate lungo il greto del Tagliamento, ultimo grande fiume selvaggio. Nel bicchiere la poesia di un corredo aromatico che affascina per le sue note di rosmarino, timo e santoreggia e i profumi di agrumi, per le sue nuances minerali, per il sorso verticale, di classe, che grazie a freschezza e sapidità ben bilanciate, stupisce per la sua sontuosa capacità di raccontare il terroir in cui nasce, dando luminosa testimonianza dell’immenso potenziale delle Grave del Friuli. Grande!
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Pitars

Via Tonello, 10/A
San Martino al Tagliamento (PN)
Tel. 0434 88078
www.pitars.it

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