Nuovo chef al Nove di Villa La Pergola di Alassio

La bellezza di questo luogo ti stupisce ogni volta che ci arrivi e il desiderio di Silvia e Antonio Ricci sembra infinito. Il parco ha collezioni di piante rare, quella di Agapanthus pare essere unica in tutta Europa, ma fare il giro dei giardini il cui ordine è stato immaginato dal paesaggista Paolo Pejrone, ti fa scoprire un mondo. Ed è forse la creazione dell’Orto Rampante, omaggio a Italo Calvino su un progetto avveniristico firmato da Renzo Piano, che ha spinto Bice Parodi, moglie dell’indimenticato Pippo, padre del Pigato, a farsi un giro a piedi per i 22 ettari della tenuta (nella foto).
bice parodi.jpgDi Italo Calvino è noto il ritratto che gli fece nel 1961 Carlo Levi, la cui casa era proprio in questo affaccio sul mare, mentre la pinacoteca è allestita a Villa Morteo ad Alessio. Antonio Ricci, che insieme a sua moglie è capace di fare viaggi in tutto il mondo per cercare un glicine, si sentono custodi di questa storia e di questo straordinario personaggio, evocato nelle sale di Villa La Pergola, che è un relais fra più belli d’Europa, con 15 camere mozzafiato e un ristorante d’autore, che oggi vede ai fornelli un talento come Giorgio Pignagnoli, trentenne con le idee molto chiare benché ambiziose. Il suo passato è già molto ricco di esperienze: dal Pavillon Ledoyen di Parigi al Lume di Miano con Luigi Taglienti, che considera un suo ispiratore conterraneo. Fra i meriti di Pignagnoli vi è poi la stella che ha conquistato Al Baglioni Resort di San Teodoro, sotto la gestione di Claudio Sadler.
esterno Nove.jpgDetto questo, a me ha intrigato parecchio la sua concezione di cucina, che è nel segno della discontinuità con l’esperienza precedente, ma di continuità con il racconto di questo luogo. Per lui avere a disposizione un agrumeto significa studiare le acidità in cucina, mentre l’Orto Rampante è la materia dentro cui giocare tutto per rappresentare la sua idea di Liguria in tavola che storicamente è fatta di contaminazioni. Francesca Ricci è di fatto il maître, con una padronanza encomiabile. E mi confida che in autunno Giorgio si esprime molto bene sulla selvaggina; ma già il suo piccione mi ha reso felice, ricordandomi alcune sfumature di Taglienti, con un quid che tuttavia è tutto suo.

Andiamo allora con ordine: pane e grissini sono prodotti in casa, con la farina Petra; la carta dei vini è ricca, con tanti classici da cui attingere; i menu degustazione hanno nomi inequivocabili: Orto con sette portate a 120 euro; Liguria, sette portate a 150 euro e Intrecci, 8 portate a 170 euro. A ognuno è stato predisposto un abbinamento di vini al calice (90 euro i primi due menu; 130 il secondo).


Alla carta ci si diverte, con il besugo cotto al piatto, acetosa, mango all’agro, coquillage e salsa Champagne, dove emerge il valore del pescato innanzitutto e questa è una qualità dello chef e dei suoi studi. Gli scampi di Oneglia scottati sono invece con la zucchina gialla dell’Orto Rampante in barigoul e tapenade di olive taggiasche.

Fra i primi piatti erano davvero delicati i ravioli di ceci di Nucetto tipo zimino genovese con calamaretti spillo della Baia e bietole dell’orto Rampante. Notevole il risotto (Riserva san Massimo) cotto nel brodetto di pesce profumato al lime, mantecato al nero di seppia, gamberi viola di Sanremo (che freschezza!), bergamotto, pompelmo e limone del loro giardino. Ora, se questi piatti sono stati più che eccellenti, devo dire che i tagliolini tagliati a mano con sugo di coniglio, crema di pinoli, schienali fondenti, maggiorana, pinoli e olive taggiasche era un boccone top che ti conquista, anche se il piatto che ricorderò a lungo, che rappresenta a mio avviso la sintesi della cucina di Giorgio, sono quei fusilli del pastificio Martelli con ace di ricci di mare e vadouvan. Impressionante la ricchezza di sfumature e la convinta adesione a questa cucina delle acidità che arriva ad un suo equilibrio sulle alte note del gusto.

Il Piccione che dicevo era in zuppa di ciliegie al cioccolato, fegato grasso e cicoria. Anche qui tutto giocato su un equilibrio speciale che è la cifra di questo chef preciso nelle sue proposte. Al tavolo di fianco servivano una Chateubriand in salsa bernese che mi sembrava perfetta, solo alla vista (e mi ha ricordato quella assaggiata in primavera a Firenze, al Palagio del Four Season, eseguito da Paolo Lavezzini). Buono l'agnello profumato al carbone di Palo Santo col suo fondo, carota, tapenade di carote, pinoli, anacardi, erbe aromatiche e cagliata di capra di cascina Giacobbe. Anche il pesce aveva tre proposte: sogliola alla mugnaia, triglia farcita di baccalà mantecato e il pescato del giorno (Giorgio ha un suo fornitore privilegiato) che quella sera era un dentice servito con salsa di ostrica e cetriolo dopo essere stato marinato e arrostito.

Superbi i dolci: more di Calizzano cotte in un estratto di more sfumate al Porto, cassis e limone, cannolo (finissimo), cacao e gelato allo yogurt di montagna, gelso nero e bignè di zabaione di passito di Pigato. E quindi l’Operà al caffè con gelato al caffè; il cocco con cioccolato bianco e ananas marinato al Rum agricolo. Detto questo qui si è in un paradiso, certo, ma lo è anche la leggerezza che si prova il giorno dopo, nonostante i tanti assaggi che vi ho raccontato (eseguiti grazie agli altri tre commensali che erano con me). Bellissima esperienza, che rende onore all’Italia, ancor più con la Francia vicina.

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