Invito a una città aperta al mondo

La bomba mancò la fabbrica di armi della Mitsubishi verso cui avrebbe dovuto essere diretta e centrò in pieno la Cattedrale di Urakami, la più grande chiesa cattolica dell’Asia. Terminata nel 1914, era stata costruita in trent’anni per venire spazzata via in pochi secondi. Vennero polverizzati i 1.400 bambini della scuola elementare di Shiroyama, poco distante, insieme ad altre 75.000 vite, tra cui 200 prigionieri di guerra alleati. Era il 9 agosto del 1945 e l’obbiettivo avrebbe dovuto essere la città di Kokura, ma faceva brutto tempo e la visibilità era scarsa, quindi l’aereo puntò verso l’obbiettivo secondario, Nagasaki, culla del cattolicesimo giapponese, da 500 anni la porta privilegiata del Giappone verso l’Occidente.

Proprio lì, nella natura incantevole del Sud, erano sbarcati a metà del '500 i primi Portoghesi con le prime armi da fuoco e a Nagasaki, grazie alla predicazione dei Gesuiti, si era consumato il secolo cristiano finito con la messa al bando del 1613 e le persecuzioni. Dopo la proibizione dell’ingresso in Giappone agli stranieri del 1637, l’unica eccezione, per duecento anni, fu Deijima, un isolotto artificiale del porto di Nagasaki. Ma il cristianesimo, pur combattuto e proibito, venne coltivato come un fiore segreto pronto a sbocciare con la riapertura agli stranieri. Ironia della storia, le bombe “intelligenti” non erano ancora state inventate, né mai lo possono essere, se non lo sono gli uomini.

Non riuscivo a non pensare a queste cose, pur nella felicità dell’evento promosso dalla prefettura di Nagasaki per far conoscere i prodotti del territorio, il 15 gennaio al Feeling Food di Milano e, nei giorni precedenti, a Eataly. Yokamon! che, nel dialetto locale, significa “cosa buona frutto di scelta attenta”. In questa frase c’è l’essenza della creatività giapponese. In effetti, in quasi tutti i prodotti che ho assaggiato, c’era qualche cosa di inedito, di particolare; alcuni, come le verdure pressate, ridotte a un foglio trasparente dal colore vivido e dal gusto netto e definito, assolutamente creativi. Ma, mentre la creatività italiana è un lampo di genio, spesso effimero, quando penso a quella giapponese, mi viene in mente, appunto, un lavoro attento e scrupoloso di anni, dove la novità esce dopo aver scartato tutte le altre.

Fra i classici, imperdibile la pasta allungata a mano, tecnica tradizionale in cui, da buon gaijin (straniero), mi sono goffamente esibito.
“I Somen di Shimabara, sorta di tagliolini introdotti circa 350 anni fa e dei quali Nagasaki produce un terzo del fabbisogno nazionale. Preparati con le acque sotterranee pure e ricche di minerali del monte Fugendake e farina a contenuto di glutine medio-alto, giungono sulla tavola dopo un attento processo di stagionatura”.

Ma la vera chicca sono stati gli Udon di Goto. Gli Udon, introdotti in Giappone nel settimo secolo d.C. da un inviato cinese, sono diventati una delle paste più tipiche della cucina giapponese. Questi, preparati con farina di grano duro, sale naturale delle acque al largo del mare di Goto e olio di camelia selvatica, data la limitatezza della produzione di questi ingredienti, vengono anche chiamati “udon dei sogni”.

Interessantissimo il Ponzu, sapore onnipresente della cucina giapponese che, per la sua versatilità, conta sempre più ammiratori anche tra gli chef occidentali. È una salsa di agrumi giapponesi, che dona un gusto insolito e fresco a una grande varietà di piatti tra i quali marinate, cibi alla griglia e tempura. Un’altra piacevole sorpresa è stato l’Agodashi, il brodo dashi che, nella cucina di Nagasaki, sostituisce il pesce volante (ago) al classico tonnetto essiccato.

La prefettura è anche celebre per essere stata la prima area in Giappone dove si è diffusa la coltivazione delle foglie di tè e l’arte della sua degustazione. Quindi anche per gli amanti del tè verde un viaggio a Nagasaki promette grandi soddisfazioni.

Per ultimo, e infatti è un ottimo digestivo, il shochu, il tipico distillato a base di vari cereali o di patate che, nella regione, viene prodotto con l’orzo. E qui, anche per colpa degli ottimi coktail in cui è stato utilizzato, la lucidità m’è venuta a mancare, quindi chiudo l’elenco.

Nella serata gli ingredienti sono stati impiegati per la preparazione di alcuni piatti in degustazione da due chef stellati, uno giapponese e uno italiano, gradito omaggio alla tradizione multiculturale della città: Haruo Ichikawa fino a ieri al ristorante Iyo di Milano e Vito Mollica del Four Seasons di Firenze. Dando per scontata la bravura del cuoco giapponese che giocava in casa, io, che di solito rifuggo dalla cucina fusion e da tutto quel che le rassomiglia, sono stato conquistato dall’utilizzo mediterraneo degli ingredienti da parte del cuoco lucano: somen all’aglio nero con guazzetto di gamberi e calamaretti spillo allo zafferano; zuppa pavese con brodo dashi di pesce volante, broccoli, parmigiano e tartufo nero; panna cotta al cavolfiore, scampo al tè verde tostato.

Ho fatto più di un bis (erano porzioncine) pensando alla frase di Paolo Massobrio durante il suo primo viaggio in Giappone: “dall’unione della cucina italiana e giapponese può nascere la miglior cucina del mondo”. Anche a Milano Nagasaki, come da antica vocazione, è stata porto franco di piacere e di conoscenza.

Per maggiori informazioni contattare:
Associazione del commercio e dell’industria di Nagasaki
4-1 Nagasaki Syoukoukaikan 8F Sakuramachi Nagasaki City Nagasaki
850-0031 Japan
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+81 95-824-5413

Hiroaki Naganuma
JFC ITALIA SRL
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