Un articolo de Le Monde, agli albori dell'emergenza COVID-19, analizza le preoccupazioni dei vignaioli di Bordeaux

In calo tra i confini nazionali, stabile ma con sentiment al ribasso al di fuori dell'Esagono. Un articolo de Le Monde pubblicato l'11 marzo scorso analizza le preoccupazioni delle cantine di Bordeaux. Riflessioni che – in qualche modo – possono interessare anche il comparto italiano in un momento così nebuloso e complesso.

"In cinque anni abbiamo perso un quinto dei nostri volumi in Francia" racconta nell'articolo Bernard Farges, presidente del Conseil interprofessionnel du vin de Bordeaux (CIVB). Nel 2019 le bottiglie di Bordeaux consumate in Francia sono state 130 milioni (il 56% della produzione totale), in calo del 10% rispetto al 2018. Invariato invece il valore dell'export. Ma diverse sono le nubi all'orizzonte. Da una parte si registra infatti una contrazione (-12%) del mercato cinese​, principale destinazione dei vini della Gironda. Dall'altra i primi effetti dei dazi imposti da Trump a fine 2019 hanno ridotto del 25% le esportazioni verso gli USA nell'ultimo trimestre, finendo così per ridimensionare un mercato in fortissima espansione. Il terzo mercato del Bordeaux è quello inglese, che nel 2019 ha registrato un +15%. Ma con la Brexit, cosa succederà?
bordeaux.jpgPer il 2020, le tasse di Trump e l'epidemia di coronavirus pongono serie incertezze per l'industria vinicola francese. Tanto più che il governo non ha adottato alcuna misura di sostegno, in particolare la creazione di un fondo di compensazione per ridurre l'impatto della tassazione” conclude Farges. Nel frattempo, la risposta da Bordeaux non si fa attendere. Da una parte si studia un cambio di comunicazione, per riavvicinare il mercato dei giovani, sempre più attirati da una pinta di birra artigianale piuttosto che da un calice di vino. “Dall'altra sono in corso discussioni in vigna per cercare di ridurre la produzione”.

E in Italia?

La situazione italiana non è dissimile a quella d'oltralpe. Anche nel nostro Paese il mercato interno è ondivago. Il consumo di vino dopo anni di continua discesa si è stabilizzato attorno ai 40 litri pro capite (terzo paese europeo dietro a Francia e Portogallo), ben lontano dai 100 litri pro capite del secondo dopoguerra, quando il vino era soprattutto un alimento e non un atto edonistico e culturale. Mentre la birra sta incrementando lentamente il suo mercato (nel 2018 per la prima volta il suo consumo interno ha superato i 20 milioni di ettolitri, con un consumo pro capite di 33,6 litri, comunque tra i più bassi d'Europa). Mentre il valore economico dell'export nel 2019 ha superato i 6,43 miliardi di euro: in crescita economica del 3% rispetto al 2018 (e del 7% sul 2017), ma ben al di sotto dell'aumento quantitativo (+11%). Il prezzo del vino italiano all'estero, dunque, ha subito una contrazione.

Il 2020 si è aperto con la più grossa crisi sanitaria degli ultimi decenni. Una crisi che nel breve e medio termine sconvolgerà abitudini e consumi mondiali, e che probabilmente costringerà a ripensare le logiche di mercato anche a lungo termine. Ragionarci ora, in piena crisi, è  esercizio estremamente complicato, ma è anche l'unico modo per farsi trovare pronti, quando il mondo uscirà dalla pandemia.

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