La storia di Carlo, 87 anni passati tra coppe, salumi e spalle crude

Non gli ho poi neanche chiesto che cognome aveva: Carlo per tutti. E gli ho dato subito del tu anche se poteva essere mio padre. Lui si definisce un “macellino”, perché la parola norcino non è proprio adatta per la gente della Bassa. L'ho incontrato a Cremona, alla fiera Bontà, dove c'erano 140 espositori di cose buone (ingresso a 7 euro). E insieme, io, lui e il professor Ferdinando Gazza, abbiamo discusso della spalla, che è considerata – a torto secondo Carlo – una parte poco nobile del maiale. Sarà anche poco nobile, ma questo uomo di 87 anni, che ha iniziato a lavorare in macelleria quando ne aveva 17, da quel pezzo di carne ha ricavato una coppa invitante (che poi viene avvolta in un budello bovino), una spalla cruda (quelle meno convincenti vengono cotte) e infine un cappello del prete.

Il resto della carne lavorata con una maestria da artista (questa è l'Italia, il savoir faire), andrà a finire nel salame crudo: è la carne con più nervature, meno omogenea. Che gran bella persona questo Carlo: usava il coltello come un disegnatore, ed era felice quando mi parlava. Gli ho chiesto se rifarebbe tutto da capo ed ha detto convinto “Sì”. Poi gli ho chiesto se è d'accordo che la miglior coppa sia quella piacentina e ancora ha detto “Sì”. Il “No” me lo ha risposto perentorio quando ho chiesto se era consigliabile che il culatello, prima di tagliarlo, si facesse passare dentro a stracci imbevuti di vino bianco. E lì mi sono sentito guardato come guardo io uno che dice di mettere la panna nella bagna caoda. Bè, alla fine di una giornata come questa ho imparato veramente tante cose. E tante le insegna Ferdinando Gazza, che ha creato addirittura una scuola per formare i macellini di domani. Chi vuol fare il MACELLINO?

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