Si chiama Biova, l’innovativo progetto di circular economy made in Torino

Al Museo Egizio di Torino c’è un manufatto che ci ricorda come pane e birra siano sempre state due attività connesse, svolte spesso negli stessi locali. Anzi, probabilmente l’una è proprio nata dall’altro. Non è un caso che nella città che ospita il secondo più grande museo mondiale dedicato alla civiltà delle Piramidi abbia preso avvio da pochi mesi un rivoluzionario progetto che si basa sul recupero delle eccedenze del pane per la trasformazione in birra: Biova.

Franco Dipietro, uno dei tre soci fondatori, ci racconta come l’idea sia nata dopo una lunga esperienza nella comunicazione della social responsibility e quindi dei progetti legati alle associazioni che si occupavano di spreco alimentare. Una finestra spalancata su un problema di eccedenze come quello del pane, che - per la sua modalità stessa di produzione in quantità comunque maggiore rispetto alla richiesta - è da sempre uno degli alimenti più sprecati all’interno della GDO. 

Da qui l’ispirazione: dare nuova vita al pane in tanto modi, cominciando, però, da quello più vicino storicamente e per materia prima: la birra. “L’idea ci deriva in parte - spiega Franco - da quello che facevano ad esempio gli emigranti tedeschi negli Stati Uniti che per produrre la birra all’inizio erano costretti ad utilizzare ingredienti di fortuna, tra cui il pane. Nacque così la ricetta della cream ale a cui noi stessi ci siamo ispirati”. Il pane, dal punto di vista produttivo, sostituisce una parte significativa del malto d’orzo normalmente utilizzato (fino al 50% circa) nel primo ammostamento.
lavorazione.jpgIl pane sostituisce parte del malto nel primo ammostamentoQuesta operazione incide sul prodotto finito dal punto di vista gustativo perché il sale contenuto  solitamente nel prodotto si trasforma in una nota sapida della birra. Ci sono tre ricette di base: kolsch, ipa oltre a cream ale. In base al pane utilizzato c’è una differenza nel bicchiere e le ricette stesse si possono modificare sulla base dei pani regionali. 

L’elemento gustativo, però, è forse il meno rilevante perché quello che più importa è il valore di questo progetto in tutti i suoi molteplici aspetti.  C’è infatti il recupero dell’alimento primario che a sua volta significa recuperare un’energia usata per produrlo che altrimenti andrebbe persa, a cui va ad aggiungersi quella risparmiata per la produzione di malto d’orzo. Un bilancio energetico messo nero su bianco da Biova che tiene puntualmente conto della Carbon Footprint

Poi c’è la progettualità legata al pane: al momento è un protocollo di ritiro dell’invenduto e di lavorazione dello stesso (il pane infatti viene biscottato e macinato per poi essere insacchettato) destinato ad espandersi e diventare fisicamente un vero e proprio centro di stoccaggio per il pane. Franco lo spiega introducendoci nella stanza dei sogni che però sono già pronti a diventare realtà: “Da giugno /luglio partiremo con una raccolta fondi attraverso la piattaforma BacktoWork24 la principale piattaforma di equity crowdfunding in Italia che favorisce l'investimento in startup, pmi e progetti innovativi. Il primo goal fissato è ad oggi di 500mila euro espandibile fino a un milione per creare i primi due centri fisici per stoccaggio del pane invenduto, così da utilizzarlo come materia prima a cui sarà abbinato un sistema di tracciamento tramite blockchain”.

Nei progetti c'è un centro fisico per lo stoccaggio del pane invenduto che sarà tracciato tramite blockchain Franco DiPietro, co-founder Biova Project

paneok.jpgC’è poi il terzo tema, quello del marketing e della distribuzione: “Il progetto nasce come vero e proprio servizio di recupero alimentare. Abbiamo già stabilito accordi con la GDO che ci permette di recuperare da loro il pane e a sua volta di produrne birra che sarà disponibile negli stessi punti vendita. Al momento siamo in Coop e Unes, in Piemonte e Lombardia, ma ci stiamo espandendo”. Dal punto di vista produttivo infatti si può immaginare una vera e propria beer firm con marchio e ricette di Biova e la produzione presso impianti di microbirrifici sui territori d’interesse. Sulle bottiglie viene indicato da dove viene recuperato il pane, in un format che è adattabile anche alle catene di ristorazione come ad esempio M**Bun dove Biova è già presente. 

Infine c’è la parte più squisitamente di missione sociale: “Stiamo lavorando con Celocelo Food che recupera gli avanzi dai mercati rionali e infatti abbiamo in produzione una birra con il pane di San Salvario, a scopo di raccolta fondi per l’associazione”. E quella di ricerca: Biova si potrà occupare del recupero anche di altri scarti alimentari e sta già investendo in ricerca.

A proposito, il progetto è stato ideato solo nel 2018 ed è effettivamente partito sono a fine 2019 con una progressione invidiabile. La lievitazione in questo caso è stata veloce e per una volta è una fortuna. 

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