Il vino di Maga Lino che non teme la sigaretta

«Credo nella Provvidenza. Per questo non ho avuto paura». Maga Lino, quella notte, non se la può dimenticare. Vignaiolo in Broni (via Mazzini, 50 - tel. 038551212) famoso in tutto il mondo per il suo Barbacarlo, cru di proprietà di famiglia sin dal 1886 e vigneto per cui ha combattuto mille battaglie, la sera del 21 aprile rientra dopo aver visto la partita Milan Juventus con gli amici. Suo figlio Giuseppe è fuori casa. Ad aspettarlo, una banda di rapinatori. Volti nascosti dai passamontagna, hanno armi, mazze, picconi…Uno gli punta una pistola in faccia, e un coltello alla gola. «Questo l’ho avuto per due ore qui», dice, indicando la giugulare mentre inizia ad affettare un salame. Ha una lama lunga una spanna e a vedere la facilità con cui affonda preparando le fette, fa rabbrividire al pensiero del pericolo scampato.

Sistemata su un tagliere una meravigliosa micca profumata e dalla mollica soffice e candida si allontana un attimo per andare in cantina e dopo qualche minuto eccolo di ritorno con due bottiglie per mano. Con attenzione certosina stappa. In religioso silenzio versa nei bicchieri il nettare che solo la sua terra dà, e quando la meravigliosa schiuma si alza, rosea e briosa, quasi volesse scacciare con la sua esuberanza ogni tristezza e il ricordo di quella serata d’inferno, si apre in un sorriso. Alziamo i calici. «Che regalo, vederci», dice piano, mentre il naso gode del profumo del Barbacarlo. E in quell’attimo è chiaro che stiamo pensando alla stessa cosa, al dono immenso che è la vita, e al fatto che del suo significato fa parte l’amicizia, vera, che è dono, regalo, appunto. Vedersi non è cosa scontata… Prima di portarlo alla bocca Lino si accende una sigaretta. Soloni della degustazione, critici che per decenni non han capito la grandezza dei suoi vini, sommelier bacchettoni, piuttosto che salutisti o talebani no-fumo, certo inorridirebbero.

Ma quel gesto è il modo con cui Lino abbraccia Gioann Brera, amico fraterno con cui ha trascorso ore indimenticabili, e che era solito ripetere che il suo vino era un fuoriclasse perché «non teme il tabacco». Ora si può assaggiare, e il sorso, fra le volute azzurrine del fumo, è un abbraccio. «L’Italia sta dimenticando l’agricoltura», dice sospirando, «ma guai a dimenticare la terra, vuol dire non avere futuro!» Una fetta di salame, un po’ di pane. Riflessioni. Le sue battaglie contro la burocrazia miope. L’importanza del rispetto tra le persone. L’amore per la terra e per la vigna. Le cose che contano nella vita. L’importanza dell’amicizia e la riconoscenza per il sostegno avuto nei momenti difficili. «Quanta gente è venuta in cantina dopo l’articolo che Paolo ha scritto sulla Stampa!» Entrano delle persone, vengono da lontano. Vogliono conoscere quest’uomo che ha più di ottant’anni, ma ha un cuore più giovane di tanti diciottenni. Giuseppe, il figlio, porta avanti con orgoglio e bravura l’azienda, e Lino ne è orgoglioso. È il momento di salutarci, e gioia – di essere stati insieme – e tristezza – di doversi lasciare – si mischiano nelle ultime parole, e nell’abbraccio con cui ci diamo l’arrivederci. Gli assaggi, di annate diverse, intanto, hanno raccontato la favola del suo vino, rosso che non ha eguali al mondo, e che ogni anno fa a sé, tanto da essere in alcuni casi vigoroso e potente, in altri delicato e abboccato, proprio perché figlio solo di terra e cielo.

Qualche settimana fa, con Paolo e Marcolino Massobrio, da Gianni Borelli, per tutti il Monsignore, all’Altra Isola di Milano con la sua strepitosa cassouela, a conquistarci era stato il millesimo 2010. Forte, di cuore, generoso. Oggi è un 1983. Rosso rubino con riflessi granata, ha naso elegante, note di frutta e spezie, mentre al palato è caldo, morbido, persistente. Poesia. 1983 – 2014? Più di trent’anni e non sentirli? Già, e Maga Lino? Oltre ottant’anni e non sentirli? È il segreto dei grandi vini e dei grandi uomini. Quando invecchiano migliorano!

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