Una storia dove si realizza un sogno per il paese del cuore: i vini di Ginevra Coppacchioli, top dei top per il Marche Bianco Primodicupi 2021

Pubblicato su Ryori Tsushin il 25 dicembre 2023

“In questo posto non c’è niente ma c’è tutto”.
Siamo a Cupi, frazione di Visso, provincia di Macerata, 1.000 metri sul livello del mare, all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Il paese risale all’anno Mille e sono un centinaio di case, perlopiù inagibili per il terremoto del 2016, gli abitanti sono una decina. Attorno domina la natura.
01.jpgChi parla così è Ginevra Coppacchioli, 27 anni, viticoltrice tanto distinta e cortese nei modi quanto determinata e pragmatica nelle intenzioni. Chi vuol realizzare un sogno non ha tempo da perdere. Nel periodo natalizio volevo trovare una storia che potesse aiutare le persone ad aprire i cuori; quella del vino di Cupi dovrebbe andar bene. Ma lasciamo parlare Ginevra.

“Cupi è sempre stato il posto del cuore della mia famiglia. Anche se nessuno di noi ne è originario, ci abbiamo sempre trascorso l’estate e le feste. Nell’800 un prozio prelato, priore di Norcia, fu mandato a finire la carriera a Cupi, se ne innamorò e ci comprò casa. Poi ci costruì casa il nonno, che aveva un’azienda di allevamento e portava a Cupi parte degli animali: 5 piani, uno per ogni figlio; purtroppo ora è inagibile a causa del terremoto. Per fortuna nel 2013 avevamo rimessa a nuovo e fatta restaurare con criteri antisismici una vecchia casa. Così la nostra base a Cupi ce l’abbiamo.
02.jpgParrà strano ma questo mio attaccamento a Cupi viene dopo un’infanzia ed un’adolescenza da nomade. Mio padre Angelo era ingegnere chimico e lavorava all’estero così, da bambina, sono vissuta tra Argentina, Venezuela e Brasile. L’università l’ho fatta a Roma dove ho studiato Relazioni Internazionali con un anno negli Stati Uniti e poi una specializzazione in Governo e Politiche Pubbliche, niente a che vedere con il vino.

Ho avuto un fratello maggiore amatissimo, Lucio Achille perduto tragicamente per un incidente. Lui era ancor più di noi innamorato di Cupi e sognava di rivitalizzarla aprendo un ristorante.
03.jpgIo e papà volevamo realizzare un progetto importante da dedicare proprio a lui. Così ci è venuta l’idea del vino anche se, a casa nostra, tranne uno zio che lo produceva per il consumo famigliare, nessuno ne sapeva niente. Con un padre sempre via all’estero ho capito che toccava a me. Così, con sparito naif, a diciannove anni aprii la mia partita Iva per dar vita a questo progetto imprenditoriale un po’ folle. Questo senza lasciare l’università; anche se sentivo che la mia vita stava prendendo un corso diverso, gli studi li volevo terminare.

Il vino di Cupi, 1.000 metri per la vigna sono tanti, era quasi una leggenda. Era un bianco prodotto da pastori che venivano qui in transumanza, asprigno e forte, praticamente non buono. C’era un detto: “il vino di Cupi lo si beve in tre: uno lo beve e gli altrui due lo reggono”. Poi, con la modernizzazione, si persero sia il vino che la transumanza.
04.jpgC’era poi il problema dell’ente che gestisce il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, nel cui territorio si trova Cupi, che non voleva dare il permesso all’impianto delle viti. Non c’era in nessun disciplinare traccia di coltivazione della vite a quell’altezza ed avevano timori per l’ecosistema; la pratica stava diventando lunghissima ed era compito nostro dimostrare l’esistenza di una tradizione viticola. Mentre cercavamo il territorio adatto, abbiamo trovato qualche vite a piè franco maritata attorno agli aceri campestri. Ѐ una tecnica di coltivazione antichissima, che pare usassero gli Etruschi. La vite viene fatta crescere abbarbicata attorno a grandi alberi, come le viti selvatiche che si vedono nei boschi. La pianta viene alta perché cerca la luce. Facemmo effettuare un’analisi della genetica dall’Università di Camerino e scoprimmo che si trattava di un Pecorino arcaico, totalmente adattato al territorio chiamato Vissanello (dal paese di Visso).
06.jpgA conferma delle nostre convinzioni, scoprimmo sul portale del Santuario di Macereto, uno dei primi esempi di arte rinascimentale, fra i bassorilievi che rappresentavano i mestieri del tempo, un uomo con un grappolo d’uva che è diventato il logo della nostra azienda.
07.jpgRisolto il problema della tradizione, il vino bisognava farlo e farlo buono. All’aiuto dello zio aggiunsi corsi enologici e agricoli, presi la qualifica di sommelier e mi sono avvalsa della consulenza dell’enologo Francesco Sbaffi.
08.jpgFacemmo gemmare il vissanello ritrovato e ne riproducemmo le barbatelle che impiantammo nella nostra vigna a guyot, utilizzammo per le prime vinificazioni il grottino di casa, piccoli serbatoi d’acciaio ed un torchio di più di cento anni.
09.jpgAl bianco quasi arcaico aggiungemmo viti di chardonnay e pinot nero. Mentre continuava la progettazione della nostra cantina, ultimata poi nel 2020, ci fu il terremoto dell’ottobre 2016 con il poco vino prodotto infermentato in bottiglia, Cupi isolata con le strade chiuse, le grandi nevicate di quell’inverno”
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10.jpg“Non ci siamo mai arresi. Sono fiera di quest’azienda sorta dal nulla, dopo due terremoti e una pandemia; ora produciamo 6 vini, in tutto 11.000 bottiglie nelle annate buone; non sono nulla ma, se penso alla mia storia di viticoltrice, mi paiono un’enormità. Scopro il mio vino giorno per giorno mentre ci lavoro; è prodotto manualmente, bottiglia per bottiglia e ogni bottiglia ha la sua anima. Abitare qui ha per me uno straordinario valore affettivo; da sempre viviamo qua e là e anche la promozione del vino mi fa viaggiare, ma il mio cuore resta sempre a Cupi”.
11.jpgUna cantina così giovane, eppure ha una maturità stupefacente.

E ora quasi mi dispiace dover descrivere i vini, peraltro superiori ad ogni aspettativa: il Primo di Cupi, 4.000 bottiglie di vissanello in purezza, ha acidità molto elevata che promette una buona longevità, struttura da bianco importante, sapido ma molto fresco. Naso complesso, emergono note erbacee molto eterogenee: finocchietto, salvia e mentuccia. Estremamente lungo e persistente. Un campione.
12.jpgIrresistibile il metodo classico di vissanello, Pecora Fuorigregge, 800 bottiglie, sboccatura di 100 bottiglie all’anno di cui l’ultima a dicembre 2022, 7 anni di affinamento sui lieviti. Un tesoro praticamente introvabile.
13.jpgPer il Pinot nero fermo (1.000 bottiglie) ha scelto uno stile fresco e fruttato, caratteristiche da cogliere nella giovinezza. L’attenta selezione dei grappoli promette comunque un’interessante evoluzione.
Dal pinot viene prodotto anche lo Spumante Rosé extra brut millesimato, un vino da mangiare, molto gastronomico, un metodo classico da tutto pasto.
14.jpgConvincente lo chardonnay Alcinesco (3.000 bottiglie), fine ed elegante, fresco nonostante l’affinamento di due anni in grandi botti italiane. La versione spumante dello Chardonnay è forse quello che più conserva i profumi del territorio: ginestra, nocciolo, cardo. Mi ha stupito per la struttura, la fierezza che non trascura l’eleganza, un vero vino di montagna.

Quest’azienda così giovane ha una maturità stupefacente; non per niente ho premiato a Golosaria 2023 il Marche Bianco Primo di Cupi 2021 come Top dei Top, miglior bianco Italiano dell’anno.
Se penso a Ginevra, alla sua fiducia quasi ingenua, alla sua risolutezza, alle mille energie che potrebbero allontanarla da Cupi, spero che non accada. So che non accadrà.
16.jpg“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Così scriveva, più di 70 anni fa, il mio Cesare Pavese, nel suo ultimo libro, “La luna e i falò”, il culmine della sua maturità letteraria e uno dei capolavori del Novecento Italiano.
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Azienda Vinicola Coppacchioli Tattini

Via Piana 16
62039 Cupi di Visso (MC)
Tel. 351 850 7557
https://www.coppacchiolitattini.it/

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