Appunti di un viaggio con una delegazione di 24 amici del Club di Papillon

Siamo sbarcati ieri sera, dopo sette giorni fra Tokyo e Kyoto, fra Kamakura e i paesi delle campagne giapponesi. Un viaggio entusiasmante a conoscere i produttori di sake e di whisky, di wasabi, aglio nero e papaya, fino all’arte di lavorare il pesce in maniera originale. E poi tanti cuochi, che interpretano quella contaminazione fra la cucina nipponica e quella italiana.

Abbiamo assaggiato vini giapponesi, cucine innovative e tradizionali. Ma un comun denominatore ci ha colpito in tutti: la scommessa sull’identità territoriale, ossia la necessità di portare la distinzione ai massimi livelli. Grandi lavoratori i giapponesi, puntigliosi e certi che la sola strada possibile è quella della qualità che deriva dalla terra o dal mare.

È un percorso che va di pari passo con quanto altri stanno facendo in Italia. E se si incontrano queste sensibilità, le due colture alimentari diventeranno un modello per tutto il mondo. Mi ha colpito ad esempio la richiesta di un produttore di wasabi di esportare anche in Italia, in alcune regioni di montagna, quella coltura che sta dando grandi soddisfazioni. E anche il produttore di whisky ha deciso di scommettere il futuro sul malto locale e persino sui legni della sua zona, per affinare quel prodotto, quasi introvabile in Giappone, perché la richiesta è superiore all’offerta.

C’è molto da imparare e le nostre amiche della rivista Ryoritsushin, che ci hanno accompagnato in questo viaggio, ci faranno conoscere altre perle del loro lavoro alla prossima edizione di Golosaria Milano a fine ottobre. La nostra Motoko Iwasaki, che ci ha guidati, è ancora là per una settimana. E tornerà presto con tante sorprese. In settimana, il dettaglio del nostro viaggio.

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