Alcune valutazioni nel mezzo delle prove dei ristoranti del Gatti Massobrio

Da una degustazione a un pranzo, la combriccola radunata dalla pierre di turno non manca mai, al completo, soprattutto se il produttore di vino è potente. È bastata una settimana fra Roma, Milano e Torino, per rendersi conto che c’è qualcosa di anestetizzato. I “grandi” ristoranti, quelli che senza colpo ferire ti piazzano un piatto fra i 30 e i 40 euro, ti danno il bianco di coniglio addomesticato, preso dalla buste di qualche fornitore per locali gourmet. Se lo farcisci con qualcosa di giapponese, due bacche e una salsa, il prezzo è giusto, anche se l’anima del piatto se l’è portato via l’abbattitore o quant’altro. Ma allora la trattoria del Monferrato o del Brenta che si procura il coniglio in cascina, ma non ha lo Champagne, quante stelle dovrebbe avere? E il piatto costa quattro volte di meno.

Un Frascati al bicchiere, seppur buono, all’Imago di Roma ti viene servito a 14 euro. E la dose versata è ridicola, tanto che non puoi fare a meno di farlo presente al sommelier, che forse s’era sbagliato... ma tanto il cliente non farà mica la figura del pidocchio davanti al cupolone, dopo che ha scelto di mangiare a prezzi sostenuti. Se poi c’è la bellona di turno con la schiena nuda, puoi strisciare qualsiasi cifra sulla carta di credito, che il pensiero è altrove, altro che il piatto. All’Enoteca al Parlamento, il cuoco è davvero bravo, nonostante debba servire la combriccola di critici che mangia nella sala di fianco. Poi ci si scandalizza per Federico Ferrero che sulla Stampa ha criticato dei mostri sacri. Ma chi è? Come si permette? La polemica impazza, fra insulti e risolini, sempre a tavola, magari col critico, che ha invitato a una festa anche gli impiccati (ma quali impiccati?) ossia i suoi cuochi “amici”, a fare corte. Ma chi s’accorge che i prezzi di certi locali non rendono giustizia della materia prima addomesticata, tutta uguale? O che il cuoco ha progetti di espansione all’estero, e la ricerca di materie prime è per lui un esercizio adolescenziale? Verrebbe da dire che occorre diffidare delle location importanti, o almeno pensare in cuor proprio dove stia la fregatura, prezzo a parte, che forse certi critici non pagano proprio, essendo, spesso e volentieri, ospiti.

Sul Giornale, l’ottimo Andrea Cuomo ha provato a dar voce a qualcuno, per commentare il dileggio di Federico Ferrero, che invece ha esercitato il diritto di critica, pagando il conto. E non s’è capito un granché, quando la voce della critica ufficiale non ha avuto nulla di meglio da dire che si tratta di dilettanti. Dilettanti che intanto fanno parlare, interrogano, mentre i premi del pranzo dell’anno non fanno notizia, non se li fila nessuno. Qualcosa di strano si sta insinuando nella nostra buona cucina italiana. Ed è troppo facile dire che siamo davanti alla Francia. Un attimo, prego. Bottura non fa per tutti e guai se coprisse le vie brevi di tanti chef un poco furbetti, che hanno smesso di ricercare prodotti, se non quelli del catalogo della ditta tal dei tali. Si sta abbassando la guardia, fra un aperitivo e una festa, e quando un critico non ufficiale chiede un’insalata di stagione, qualcuno è preso dal panico. Ma che cavolo sei venuto a fare nel mio ristorante? Paga e taci, che l’artista con la tavolozza preconfezionata è al lavoro. Non disturbiamolo, accidenti!

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