Un viaggio attraverso l'Italia e i suoi pani non lievitati

La schita, ma non solo. Le panelle senza lievito in Italia sono state per secoli dominanti e oggi resta qualche importante traccia. Facilità di preparazione, pochi e semplici ingredienti da portare nella bisaccia da conservare a lungo. Sono probabilmente queste le ragioni per cui le azzime, quindi i pani non lievitati, sono stati per secoli il cibo del Mediterraneo.
Sono stati i pastori i primi grandi consumatori di azzime: che non avevano spazio, ripostigli e soprattutto tempo. I pani azzimi infatti non richiedono nulla se non la fiamma. Neppure il tempo, l'altro ingrediente fondamentale della cucina, perché spesso sono preparati al momento o dopo un breve riposo. Quella lunga tradizione si è spenta, infatti, quasi contemporaneamente con la fine della civiltà pastorale e con lo stanziamento dei tanti conduttori di greggi e mandriani che solcavano la pianura e la montagna.

Cos'è accaduto? Non c'era più chi si fermava sotto le stelle a cuocere una panella sul fuoco, piuttosto l'esigenza era avere un pane da portare con sé ogni giorno al lavoro nei campi. Ogni sera però si tornava a casa dove c'era qualcuno che poteva preparare una polenta in cottura per lunghe ore oppure far lievitare una pasta. Il pane invece si trasferisce nei grandi forni comunitari. E il lievito, che aiuta a vivere nel tempo, conservando una certa morbidezza, diventa fondamentale. Di quelle panelle consumate sotto le stelle resta ancora qualche traccia. In montagna, ad esempio.
In Piemonte c'è la miascia, una cialda di montagna, preparata solo con farina di mais e acqua che al sapore ricorda quello della crosta della polenta croccante. Si prepara su un ferro arroventato ma nella sua versione moderna l'impasto base può essere arricchito con uova, burro e olio, usati in modo diverso a seconda delle zone.

Le colline dell'Oltrepò Pavese hanno la loro schita (condivisa anche con il Tortonese dove si chiama anche sguiccia) poverissima, oggi cotta in padella ma un tempo probabilmente su semplice ferro rovente.
schita-ok.jpgLa schita dell'Oltrepò PaveseNell'Appennino Emiliano invece resiste il borlengo (che in paesi come Porretta Terme assume il nome di zampanella): chi non lo conosce, può immaginarlo come un'ostia di grandi dimensioni, molto sottile e friabile. Gli ingredienti sono quelli della semplicità: acqua, uova, farina di frumento, ma anche di mais o di castagne. Impasto liquido e piastre grandi, enormi, per la cottura. Un dettaglio che ben rappresenta la sua stanzialità lontana dall'essenzialità richiesta per un prodotto come la schita.

Nel versante romagnolo, invece, questa civiltà delle panelle si riconosce nelle piade che in origine non prevedevano l'utilizzo del lievito (oggi gli agenti lievitanti sono ammessi nel disciplinare) in quanto diretta discendente delle azzime ebraiche. L'impasto però si tira a mano e si cuoce sulle teglie in ceramica, quelle speciali che un tempo si producevano con la terra dell'Appennino.
piadina-romagnola-ok.jpgLa piada romagnolaContinuando sulla linea delle colline che costeggiano il mare si mangia il crostolo nel Montefeltro, con l'impasto che non viene steso ma arrotolato e cotto sulla gratella. A Urbino cambia ancora e diventa crescia sfogliata con l'impasto che, avvolgendosi a spirale, la fa sembrare così simile alla pasta sfoglia.
crescia-sfogliataok.jpgLa crescia sfogliataDall'altra parte dell'Appennino, con un occhio rivolto al Tirreno, la panella diventa il panigaccio che - il nome ci ricorda - ha parentele con il cereale panico un tempo utilizzato qui almeno quanto la farina di castagne. Oggi si prepara con la farina di grano unita ad acqua e sale per formare una pastella da cuocere su testi di terracotta impilati in forno e arroventati.

Nella montagna pistoiese ci sono tracce dell'antico pane dei taglialegna, quei necci da farina di castagne, cotti su testi di terracotta o piastre di ferro. Sulle vie dei pastori non può mancare l'Abruzzo con la sua pizza però scima tradizione dialettale di azzima che si cuoce al coppo, ovvero su un testo con coperchio ricoperto di braci così da assicurare una cottura perfetta. Non si condisce ma si gusta accompagnando le carni e, possibilmente, guardando le stelle come i pastori di qualche millennio fa. 

Di schita e delle altre panelle della tradizione si parlerà all'interno del webinar ABCLive condotto da Paolo Massobrio domenica 9 maggio alle 21.15 all'interno degli appuntamenti mendili Del Bicchiere mezzo pieno che questa volta avrà come titolo Cibi conviviali. Clicca qui per iscriverti. 

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