Le ricchezze dei prodotti del mare e della terra della Prefettura di Fukui, a metà dell'isola principale del Giappone

Mentre la neve scendeva ininterrotta e silenziosa, un vecchio si affrettava sulla via di casa. Nonostante fosse l’ultimo giorno dell’anno, non aveva potuto vendere nemmeno un copricapo di paglia. Lo aspettava un inizio d’anno al freddo e a digiuno. Dopo un po’, lungo la strada, vide 6 statuette di Budda messe in fila, ormai semisepolte dalla neve. Provò pietà e così le ripulì una a una e mise sulla testa di ciascuna uno dei suoi cappelli di paglia. Alla sesta, siccome ne mancava uno, si tolse il suo e glielo appoggiò sul capo chiedendo scusa del fatto che fosse usato. Tornato a casa, raccontò a sua moglie di non aver venduto nemmeno un copricapo e di averli regalati alle statuette di Budda e sua moglie anziana gli disse che aveva fatto bene. L’ultima notte dell’anno era gelida, così la coppia si mise sotto le coperte presto. Ma all’improvviso sentirono qualcosa cadere con un tonfo davanti a casa e si affrettarono alla porta per vedere cosa fosse. Con sorpresa videro i Budda che erano arrivati, portando ciascuno un grosso sacco di riso sulle spalle poi, lasciatili alla loro porta, se ne andarono. Quei sacchi di riso erano sufficienti a mantenere la vita di una coppia anziana per un anno abbondante.
Questa è una fiaba che conoscono tutti i Giapponesi, “Kasajizou (Le statuette di budda col cappello)”.
Innanzi l’alba già facevano casino all’entrata di casa e io li ascoltavo con attenzione, pur lasciando la testa ancora sul cuscino. Era il giorno in cui mio padre partiva per Tokyo per affari ma, prima di salire sul treno, doveva andare a ritirare dei pesci appena arrostiti dal suo pescivendolo a cui aveva chiesto di prepararli prontamente per quell’ora. Durante i suoi viaggi alla città capitale lui, immancabilmente, andava a trovare un certo signore per portare queste specialità di Fukui.
“Quando vorresti davvero accontentare qualcuno con questi vai a colpo sicuro!”
Non la solita scatola di dolcettini, né prodotti confezionati lussuosamente, ma le cose buone e fresche che non si possono trovare in una grande città. Tra l’altro il signore aveva lavorato per qualche anno a Fukui perciò era sicuro che fossero proprio quelli i gusti di cui aveva nostalgia. Mio padre era arrivato a questa conclusione dopo mille ragionamenti.

La prefettura di Fukui è, sia dal punto di vista geografico che culturale, una zona che divide l’isola principale del Giappone tra l’est e l’ovest: anche solo per il dialetto la zona a nord usa quello chiamato Fukui-ben invece quelli del sud usano il Wakasa-ben vicino a quello di Osaka o di Kyoto, due parlate completamente diverse.
Le varietà di cibo prodotte da questa terra sono ricchissime. Dal Monte Hakusan (=Monte Bianco) l’acqua purissima e gelidissima scende per mezzo del Kuzuryu, noto come uno dei fiumi più impetuosi del Giappone e dei suoi affluenti attraverso la pianura di Fukui, costruendo un ambiente perfetto per coltivare il riso di qualità per sparire poi fra i cavalloni scuri del Mar del Giappone. A differenza delle limitrofe Kyoto e Kanazawa, città dell’eleganza, Fukui ha coltivato l’amore per la bellezza semplice, non solo nell’arte, ma anche per quanto riguarda la cucina. Mio padre aveva un carattere molto difficile ma era almeno uno che sapeva già 40 anni fa quanto grande fosse la ricchezza gastronomica della nostra zona. Ad esempio ciò che preparava per il signore di Tokyo erano sgombri ben panciuti e grassi, arrostiti lentamente allo spiedo di bambù. Le passere di mare di Wakasa leggermente seccate hanno una carne tenera dal gusto finissimo. Basterà sentire una volta sola il profumo dolce e croccante dei rombi sempre arrostiti e sicuramente vi verrà inciso nella memoria.
In più, in pieno inverno, portava anche gamberi Amaebi crudi che hanno una carne quasi cremosa con un gusto intenso o granchi d’Echizen bolliti dalla perfetta cottura e dalla salatura quasi calibrata ad enfatizzare la dolcezza della polpa (diversamente da oggi allora non erano considerati così rari e introvabili, infatti ai tempi della mia infanzia quei granchi te li vendevano in una bacinella e li mangiavo per merenda). Invece in estate lui andava a pescare i pesci Ayu e li faceva arrostire sempre dal pescivendolo raccomandandosi di conservare la loro forma, come se ancora stessero strisciando fra le pietre nel fiume. Inoltre inseriva anche polpa di riccio di mare salata o alghe konbu di Tsuruga.

Abbiamo anche bontà di montagna. Una di queste sono le patate satoimo di Kamisho. Queste patate leggermente viscide vengono coltivate e consumate comunemente in tutto il Giappone ma, quelle che vengono coltivate nella zona di Kamisho della città di Ohno sotto il Monte Hakusan, sono meno grandi e più dure per cui, anche dopo una lunga cottura per far assorbire il gusto, mantengono la forma e rimangono croccanti. Quando c’era ancora mia nonna che diventava matta per queste patate, ne rubò alcune dalla scatola di suo figlio e le piantò di nascosto nel suo orto. Sognava di poterne mangiare quante e quando voleva; invece le sue diventarono grosse senza quella croccantezza meravigliosa. Rimase così delusa e capì quanto, anche a soli 20 km di distanza, il terreno potesse creare una differenza sostanziale. Questo avviene anche per il riso. Koshihikari è un cultivar noto come il migliore fra i risi giapponesi ed è nato a Fukui. Nella stessa costa verso il Mare del Giappone c’è un’altra zona famosa per la produzione qualitativa. Ero curiosa e ne comprai per diverse volte, quando vivevo a Tokyo. Era buono, ma non vi trovavo quella dolcezza e quella singolare compattezza a cui ero abituata con il riso prodotto da mio padre. Non solo la perizia della sua coltivazione ma, sicuramente, il terroir della zona di Eiheiji era indispensabile.

Quella persona che mio padre ci teneva tanto ad andare a trovare non c’era quasi mai all’ora in cui lui arrivava a casa sua. Per mio padre era una vera impresa prendere i metrò di Tokyo complicatissimi come un labirinto: sbagliava diverse volte e poi doveva chiedere a qualcuno la strada per trovare la destinazione. Era sua abitudine presentarsi senza preavviso, quasi come un attacco di sorpresa. Così ogni volta, alla signora che lo riceveva con un po’ di imbarazzo, inginocchiatosi al gradino dell’entrata e tenendo basso il capo, porgeva questo saluto: “Signora sono contento che Lei stia bene.” E poi diceva ancora “Queste sono sciocchezze ma Vi ho portato queste specialità di Fukui, immaginando che Vi manchino un po’.” Lasciava giù sul gradino vistosamente lo scatolone e, osservando con la coda dell’occhio solo per un istante la signora che lo invitava a prendere una tazza di tè, le diceva “No, no! Non si preoccupi! Mandi i miei saluti a Suo marito!!”. Si girava indietro e si allontanava immediatamente.
Era contento di aver potuto portare i suoi regali ma, nello stesso tempo, io lo so che, per la convinzione di essere riuscito a fare tutto questo con leggerezza, le sue spalle tremavano di soddisfazione come quelle di un bambino.
Fra le fiabe giapponesi ci sono eroi che sconfiggono i cattivi ma, quelle in cui una bella fanciulla conquista l’amore di un principe, sono poche. Invece ce ne sono molte in cui la gente comune, con un gesto semplice dimostra pietà, per cui viene ripagata con un grande dono a sorpresa mentre, al contrario, chi dimostra avidità prende un castigo dal cielo. Infatti in Giappone la gente si allontana da chi dimostra vistosamente i suoi interessi personali invece esiste la felice abitudine che, quando si riceve una gentilezza, al posto delle parole di ringraziamento, auguri, consolazione o anche del semplice saluto, si fanno dei regali.

Casualmente è finito sotto i miei occhi un servizio speciale sulle specialità di Fukui sulla pagina web delle nostre amiche di “Ryorotsushin” dove ho trovato, insieme al tofu di sesamo fatto da uno dei miei compagni di scuola e al tofu fritto, uno dei miei piatti preferiti preparati da mia madre, il sorriso di un vecchio amico di mio padre che lottava per coltivare le famose patate Satoimo di Kamisho. Tutto questo mi ha fatto tornare, come fosse oggi, al viaggio di mio padre.
Ormai la rete internet è diffusa in ogni angolo, perfino nel più piccolo dei paesi e molti coltivatori si uniscono per promuovere i loro prodotti in un metodo innovativo ma, mi sono resa conto che i prodotti tesoro del mio paese nativo, Fukui, non hanno cambiato la loro forma e continuano a vivere lasciando le loro radici nella mia terra come 40 anni fa. Ne sono felice.

“Non sei mica un Babbo Natale! Siamo amici, no? Allora perché ci riempi di tutti questi regali!?” Quando sono andata a trovare i miei amici in Veneto, anch’io non potevo non tirare fuori tutte le specialità piemontesi e riempire il loro tavolo. Credo che anche le mie spalle ridessero da sole in quel momento…

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