L'amicizia di Claudio e Gigi, entrambi appassionati di enogastronomia, sulle strade delle tavole stellate

Sul prato di La Lande-Saint-Léger in Normandia, sia Gigi che Claudio rimasero un’unica volta senza parole. L’uomo in canottiera che stava lavorando con la falce era il più famoso produttore di calvados. Alla richiesta di vendere qualche bottiglia, alzò lo sguardo e disse semplicemente: “Italiens…” accompagnato da quella parola che per i Francesi è quasi un intercalare. Poi di nuovo gettò lo sguardo a terra e ricominciò a tagliare. I due Italiani avrebbero voluto aggiungere qualche cosa, ma l’uomo non sembrava interessato. Con ancora negli occhi la falce affilatissima, tornarono sui loro passi senza voltarsi indietro. Dovettero rifare lo stesso percorso per il ritorno: una strada di campagna strettissima coi muretti su entrambi i lati, sperando di non trovare un’altra macchina in senso opposto, ché in due non ci si passava: una strada senza speranza. Eppure entrambi ridevano come matti.

Per festeggiare il suo compleanno Claudio invitò Gigi ad Annecy da Marc Veyrat. Chissà quante volte nella vita capitò a mio marito di poter offrire una cena a questo amico? Era un po’ orgoglioso del suo gesto. Appena arrivati in albergo, per riposarsi un po’ prima di cena, Claudio entrò nel bagno della camera e aprì un rubinetto; subito si staccò una guarnizione troppo consumata e cominciò a schizzare acqua per tutto il bagno. In questo tipo di emergenza mio marito rimane quasi sempre flemmatico. Senza fare una piega uscì dal bagno e disse a Gigi che, stanco della guida, stava riposando: “Gigi, guarda che la nostra stanza si sta allagando…”.

Si scorgevano nello specchietto retrovisore i fari proiettati invano verso il cielo nebbioso. Gigi e Claudio scesero in fretta dalla macchina a controllare e osservarono così la “due cavalli” del francese, caduta perfettamente in verticale in un profondo fosso. Per questo era improvvisamente scomparsa. Questa storia successe quando loro si erano persi a Montauban, cittadina sonnolenta del sudovest francese, mentre, al solito, cercavano un ristorante stellato, la Table des Capucins. Chissà come il ragazzo francese, che chiacchierava con altri coetanei alla luce di un lampione, si era esaltato al vedere questi due italiani che chiedevano informazioni e si era subito offerto di accompagnarli. Era saltato sulla vettura e, in retromarcia, era finito nel fossato. Ma non bastava ancora: sporgendo la testa dal finestrino della macchina finita male, disse: “ Pas de problème! Vi accompagno io!” e stavolta inforcò il motorino di un suo amico, quasi portato via a forza e, cavalcandolo, li accompagnò finalmente al ristorante. Di quella sera loro due non si ricordano molto bene che cosa mangiarono: continuavano a ridere come degli scemi fra lo stupore dei camerieri ma, da allora, vedendo una persona che vuole aiutare qualcuno a tutti i costi, anche non richiesto e spesso con danno personale, la definizione era: “è uno della Scuola di Montauban”.

Gigi e Claudio avevano scambiato due chiacchiere, per la prima volta, davanti alla macchinetta del caffè dell’ufficio, durante una pausa del lavoro. Lavoravano nella stessa azienda, ma Gigi era già un dirigente importante, invece Claudio era un giovane impiegato assunto solo da 5 anni. Entrambi erano appassionati d’enogastronomia e trovarono subito un’affinità. Così cominciarono a fare, ogni anno, qualche viaggio insieme, avendo prevalentemente come meta le tavole stellate francesi. Gigi, introverso e garbato, e Claudio, estroverso e un po’ grezzo, tant’è che lui stesso si fa chiamare “primitivo”, apparentemente sembravano opposti; ma a Gigi piaceva vedere Claudio godersi il mangiare e il bere con semplicità, senza farsi troppi problemi e si faceva gran risate alla sua ironia e alle sue battute fulminanti; così girava il mondo con lui volentieri.

Gigi aveva in testa una mappa completa dell’Europa e poteva scegliere l’itinerario più veloce per fare spostamenti incredibili nel minor tempo possibile, senza mai smettere di guidare. Una volta fecero tutto il perimetro della Francia in 7 giorni, provando sempre i migliori ristoranti, soggiornando in alberghi bellissimi. Gigi osservava e si beava di tutte queste cose, però con un certo distacco; forse per questo godeva di un rispetto particolare da cuochi, camerieri e maîtres. Anche Claudio lo guardava con un po’ di ammirazione. Poi era un bravissimo cuoco. Provando un ristorante di alto livello, anche senza chiedere la ricetta, poteva realizzare lo stesso piatto a casa sua, con una mise en place precisissima.

Quando andava da Paolo Teverini a Bagno di Romana, molto spesso lo invitava a cucinare insieme e Fulvio Pierangelini del Gambero Rosso, all’arrivo di Gigi, tirava fuori il suo spirito pungente e dava del suo meglio. Quando Gigi iniziò a viaggiare con Claudio, gli disse “per le spese del viaggio basta che mi paghi quanto ti chiedo.” Sia in Italia che in Francia giravano quasi sempre i migliori ristoranti, per cui il costo non poteva essere contenuto. Tuttavia Gigi chiedeva solo il 20 o il 30 % della spesa reale. Claudio rimaneva molto imbarazzato per questo e una volta insistè per pagare tutta la sua parte. Allora Gigi disse “Non è sempre necessario essere alla pari. Voi giovani pensate che la vita si debba chiudere in partita doppia. Vuoi essere più ragioniere di me. Tanto bisogna dare, tanto bisogna avere. Ma nella vita da qualcuno si prende e a qualcun altro si dà. Probabilmente tu ora prendi da me ma tu restituirai a qualcun altro. Questo ora non ha nessuna importanza.” Dopo avermelo raccontato Claudio aggiunse “Non so se questo moralmente sia giusto, ma credo che qui si trovi una piccola grande verità.”

Anch’io ho tanti ricordi di Gigi in tasca. Nel 2001 abbiamo girato tutta la Toscana in un giorno solo. Alla piazzetta di Colonnata facemmo preparare un panino con lardo dal produttore preferito di Gigi, che era una anzianissima tabaccaia. Ad Agliana, quando mancavano solo 10 minuti all’ora di chiusura, ci infilammo nel negozio di Roberto Catinari e comprai una favolosa torta da lui personalmente. Sia il gusto profondo del lardo che la straordinaria croccantezza della torta sono memorizzati ancora sulla mia lingua.

Oggi io e Claudio siamo in grado di girare a cercare i produttori secondo le nostre esigenze e ci divertiamo a provare i ristoranti; in più credo che abbiamo sviluppato una nostra maniera per far crescere il rapporto con quelli che ci interessano. Ma ci vorrà ancora un bel po’ di tempo per saper dare qualcosa a qualcun altro nella misura ricevuta da Gigi. L’essenza della Scuola di Montauban non si trovava nella scriteriata gentilezza dimostrata da quel signore francese ma, secondo me, nelle parole dette da Gigi sul dare e sul ricevere.

Un indimenticabile pranzo di noi tre, in un pomeriggio di giugno del 2008, in un tavolo un po’ appartato de Le Calandre a Rubano, Padova. Ci eravamo goduti il servizio garbato del Sig. Raffaele e la sua personalissima scelta di abbinamento di un vino ad ogni piatto e, quasi alla fine del pranzo, Gigi raccontò l’aneddoto divertente di un suo vecchio collega di lavoro, quando, per festeggiare la promozione a dirigente, invitò Gigi e gli altri amici a cena al ristorante più prestigioso di Firenze. Chiamato a scegliere un vino per l’antipasto, ma non se ne intendeva assolutamente, scelse il più caro della lista che era, guarda caso, un sauternes. Gli amici rimasero molto imbarazzati. Ma non finì lì: quando il sommelier l’invitò ad assaggiarlo lui, che il muffato non l’aveva mai bevuto né sapeva cosa fosse, sentenziò: “Al sa d’ nata! (Sa di tappo!)”. Gli amici invitati rimasero ovviamente senza parole. Nella nostra tavolata invece, per una chiacchierata così innocente, nacque una risata infinita con lacrime agli occhi di noi tutti e tre… Allora arrivò il Sig. Raffaele con uno dei dessert per me indimenticabili in assoluto: si chiamava “Scala, il gioccolato”. Aveva la bottiglia del mariage e copriva con la mano l’etichetta. Ce la versò nei nostri bicchieri con un sorriso birichino e ci disse “Vediamo se potete indovinare cos’è.” Anche dopo un sorso dal bicchiere nessuno di noi poteva crederci e non osavamo nominare quel nome. Il Sig. Raffaele rivelò l’etichetta scostando lentamente la mano. Sotto al disegno fine della corona, vedemmo la scrittura dalla linea morbidissima che indicava quel sauternes di cui parlavamo. Era Château d'Yquem.

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