Cosa abbiamo imparato e cosa non dobbiamo fare (al contrario di quanto sta accadendo in Cina)

Cosa sta accadendo nei ristoranti di Pechino dopo l’allentarsi delle misure sull’epidemia di Covid-19? Se lo è chiesto Eater, uno dei maggiori media a tema cibo mondiali che ha visitato i locali della capitale cinese per provare a capire cosa accadrà “dopo”.
Il quadro tracciato da Eater è in bianco e nero: in una città dove lentamente sta tornando la normalità, l’atmosfera nei ristoranti è strana. Le autorità hanno lasciato alcune (incomprensibili) limitazioni e la gente, vuoi per abitudine vuoi per non piegarsi a certi divieti, preferisce ordinare da casa.

Un modello, ci si chiede, che potrà replicarsi anche nel mondo Occidentale? La risposta è sì e no contemporaneamente e le differenze, anche macroregionali, fanno da padrone. In una metropoli, dove il rapporto con il cibo è spesso rapportato al pari di un qualunque servizio, questo può essere possibile. In case sempre più piccole e razionalizzate, dove sparisce la cucina, uscire a mangiare o ordinare qualcosa dal delivery sono equivalenti. Per un motivo semplice: il cibo non ha una valenza sociale e culturale profonda. In Italia, invece, oggi che ristoranti, bar, pizzerie sono chiusi, la reazione, dei ristoratori come di tutti noi avventori, ci sta dicendo che le cose andranno diversamente. 

Vediamo allo stato attuale come questa epidemia e soprattutto questa quarantena potrebbero cambiare la ristorazione, in base alle tendenze che si stanno delineando.

Il concetto di comunità virtuale

Abbiamo visto i ristoratori intrattenere un rapporto quotidiano con i loro clienti che nell’arco di due settimane si sono trasformati in una community che commenta piatti, segue lezioni on line per quanto non organizzate, chiede consigli. C’è una socialità, uno spirito di comunità, intorno a certi ristoranti che non riuscivamo a immaginare. Questo significa che i contenitori vuoti, quelli nati sulla carta che cambiano chef come calciatori faranno fatica a resistere.

L’importanza della comunicazione

Vedi quanto scritto sopra ma vedi anche la possibilità di partire subito con un servizio di delivery. Chi aveva una mailing list, una pagina Facebook attiva e funzionante in questo momento di emergenza è stato parecchio agevolato. Non si può più pensare al ristorante come a un luogo dove semplicemente si cucina e mangia.

Il deliverY

È il grande vincitore di questa crisi. Si stava già affermando prima, ora è diventato per molti quasi un’abitudine a cui, possiamo scommetterci, in pochi vorranno rinunciare. I ristoratori - imprenditori sono avvertiti: dovranno anche guardare in questa direzione. E le risposte più innovative potrebbero fare la differenza. 
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La sostenibilità

Ambienti più salubri, alimenti che guardano all’ambiente e al benessere di chi li mangia e degli animali. Questa crisi si sommerà alle istanze già espresse dall’emergenza ambientale. Filiera, certificazione, non spreco e così via, faranno la differenza nelle scelte dei consumatori dei prossimi anni.

L’insegnamento

Quanti chef, più o meno giovani, si sono rivelati senza rendersene conto ottimi comunicatori? La professoressa Roberta Garibaldi, nel suo Rapporto sul Turismo enogastronomico italiano, ha posto sul podio del potenziale inespresso per l’Italia proprio la scuola di cucina per stranieri, da una lezione di poche ore a una settimana full immersion, nel solco di un turismo sempre più esperienziale. Un’opportunità che in molti casi non è da sottovalutare soprattutto a fronte di un turismo post Covid-19 che con ogni probabilità seguirà ancora di più queste rotte inesplorate allontanandosi, almeno in un primo momento, dalle grandi mete.

L’autenticità 

Forse il valore più importante. Questa crisi ha messo in luce il nervo scoperto dell’Italia gastronomica. Come in un lampo sono spariti i vari adepti delle cucine televisive e sono rispuntate le cuoche e i cuochi d’antàn. Cosa può farci pensare questo? 

Gli acquisti

Lievito e farina, in quantità mai viste negli ultimi decenni. E non guancia di maialino. Questione di panico? Sicuramente, stiamo parlando di beni di prima necessità. Ma non solo. La voglia di ritornare in contatto con qualcosa di reale, non di effimero. Con le mani in pasta, ripartendo dal pane e dalla pizza, che rappresentano l’inizio di tutto. Un mix di calore e senso di rassicurazione. L’odore del pane, si sa, è quasi taumaturgico. Una casa che profuma di pane diventa immediatamente accogliente, come ben sanno gli esperti di marketing. In questo periodo di riposo forzato in molti stanno ripensando il loro menu e più in generale il loro lavoro. Qualcuno - lo abbiamo visto scorrendo le pagine Facebook - si è chiesto anche se ha senso rincorrere ritmi così folli, continue chiusure e aperture. 

Cosa accadrà quindi? Ancora è difficile a dirsi, la cucina potrebbe riprendere il suo posto, ridimensionarsi forse. Rientrare nei ranghi escludendo le esagerazioni che abbiamo visto in questi anni, lasciando spazio ai professionisti veri e spazzando via i tanti progetti di marketing, costruiti, più o meno bene, a tavolino, o gli avventurieri impreparati.
E non è detto che sia tutto negativo, anzi.

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