Vino unico frutto di un territorio duro circondato in ogni lato dalle montagne

Pubblicato su Ryoritsushin il 5/4/2019

Autunno 2018, anzi 21 novembre 2018: mia figlia compie 30 anni. Alla piccola festa di famiglia i suoi cugini mi dicono: ma come, non c’è neanche da stappare una bottiglia della sua annata? In verità avevo messo da parte bottiglie fantastiche di Barolo, ma l’alluvione del 1994 che invase la mia città me le distrusse tutte. Poi nel tempo qualcosa sono riuscito a recuperare, ma non ci avevo mai fatto gran conto. Sono dunque sceso in cantina e dopo mezz’ora di ricerca è saltata fuori una bottiglia di Moscato di Chambave di Ezio Voyat. Aveva un colore ambrato, che non prometteva nulla di buono.

Ma tant’è: in cucina, di nascosto l’ho aperta e l’ho decantata. E a quel punto mi sono commosso: aveva un dolce profondo, come il miele, era perfetta e mi raccontava di un’amicizia con un viticoltore che ora non c’è più, ma che ha lasciato un segno non solo nel mio ricordo: è grazie ad Ezio se si può scommettere su questo vino, in una terra difficile come la Valle D’Aosta.

Sono un uomo cresciuto tra le dolci colline del Monferrato; non sono abituato a vigne innevate ed aspre pendenze: i cuori dei montanari sono duri, sono silenziosi e la terra con loro non è generosa. Non per niente si parla di viticultura eroica. Però i vini della Valle d’Aosta sono tra i più interessanti e originali del panorama nazionale. Vini dal gusto salato e montano, fini, acidi e aerei, spesso solo apparentemente leggeri.
2.jpgUna produzione complessiva davvero minima, quasi tutta di vitigni autoctoni, in appezzamenti minuscoli, circondati dalle montagne, dove l’uomo ha imparato da secoli a sfruttare tutti gli spazi disponibili. Verso il fondovalle una delle denominazioni più note è appunto Chambave che prevede sia vini rossi che bianchi: in questo caso il vitigno è il moscato bianco (muscat blanc à petit grain), realizzato sia in una versione secca che in una più sostanziosa e ricercata versione passita (muscat flétri). E un vino antico, già famoso nel XV secolo quando il passito veniva regalato a nobili e re.
3.jpgOra, pochi giorni fa sono stato di fronte a due campioni di Moscato di Chambave secco, quello del 2016 della Crotta di Vegneron e quello più vecchio di tre anni di La Vrille, che un po’ mi ha fatto pensare al vezzo di Voyat di fare assaggiare i suoi vini con una certa età.
4.jpgPoi mi sono ricordato di Hervé Deguillame, l’uomo diviso tra montagna e mare, che già avevo premiato fra i Top Hundred per il suo Fumin nel 2008 e m’è venuta voglia di raccontarvi la sua storia e quella della sua cantina mignon in un paesaggio da fiaba, La Vrille (il viticcio) appunto.

Il gusto ritrovato e coltivato da un francese che voleva diventare un italiano

Hervé è nato a Marsiglia da una famiglia di emigranti valdostani. A dire la verità erano stati i nonni a lasciare l’Italia, quindi lui a tutti gli effetti era un francese. Come tale si arruolò in marina militare, non amava la vita sedentaria, dice. Furono otto anni su corvette e incrociatori, fra Gibuti e il Golfo Persico. Stranamente questo marinaio, quando pensava alla sua terra, erano le montagne della Val d’Aosta quelle che vedeva ed era lì che scappava durante licenze e congedi. A 25 anni sposò Luciana Neyroz, una valdostana residente, lasciò la marina francese e diventò valdostano.
5.jpg Rarissimo caso di Francese che vuole diventare Italiano, non si accontentò della residenza: dice che doveva toccare la terra con le mani per farla diventare sua. Il suocero aveva delle vigne dismesse e così cominciò la storia di quella che è oggi sicuramente una delle aziende al vertice qualitativo nella regione.
6.jpgVigne coltivate ormai da 7 anni con il metodo biologico, ma senza certificazioni: “Il clima secco, ventilato, poco piovoso in estate favorisce una vinificazione naturale. Io la pratico da sempre senza diserbo e senza chimica in vigna. Ma, se per caso un’annata non mi favorisse, non posso promettere che la butterei via per coerenza, finora non è mai successo, ma chissà.”
7.jpgIl suo Moscato secco, circa 8000 bottiglie nelle annate più produttive, fa solo acciaio con vendemmia a fine settembre/ inizio ottobre.
8.jpgDue sono le vinificazioni che vengono miscelate. La prima, in bianco, riguarda i due terzi della produzione: vendemmia, pigiatrice e fermentazione in vasca. La seconda parte viene trattata con la macerazione pellicolare. L’uva rimane in vasca 24/48 ore con le bucce al freddo, poi pressatura e fermentazione del mosto.
9.jpgLa parte in bianco da le note floreali, quella sulle bucce è più aggressiva, con note agrumate. Il risultato, di raro equilibrio, è un vino fresco e sapido, ottimo con i crostacei e le carni bianche. Un vero capolavoro è il Muscat Flétri, prodotto in sole 1.500 bottiglie. I grappoli più belli sono sottoposti ad un appassimento naturale per due mesi in cassette dove subiscono un 48/50% di perdita d’acqua. Il vino che ne risulta ha 200 g di zucchero al litro e sentori complessi di acacia, miele, agrumi senza mai essere stucchevole grazie alla sua spiccata acidità. Nel 2013, con l’annata 2010, è stato premiato dal Gambero Rosso come miglior vino da dessert d’Italia ma anche il 2015, quello da me degustato non scherza.
10.jpg“Qualche volta prendo in giro i miei colleghi dicendo che, per fare buoni vini in montagna, ci vuole un marinaio francese”. I rossi prodotti sono quelli tradizionali valdostani: fumin, chambave rosso, pinot noir, cornalin e il raro vuillermin, delicato e aciduloso dai sentori di bergamotto. La moglie Luciana, gestisce con amore il piccolo agriturismo con camere collegato all’azienda vitivinicola: ha una mano delicata e sapiente in cucina; le 6 camere, che hanno i nomi dei vitigni autoctoni valdostani, sono state ristrutturate utilizzando materiali ecologici, recuperando elementi di una vecchia baita del 700. In pratica un paradiso!
1.jpgIl figlio Sylvain, di 27 anni, fa l’attore di teatro e cinema a Parigi. La figlia Virginie, di 25 anni, antropologa specializzata in alimentazione, lavora a Montpellier al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique). “Che peccato! I primi due Deguillame nati in Italia dopo generazioni, se ne sono andati in Francia!” Conclude così accarezzando il cagnolino e sorridendo alla moglie. Ma è chiaro che scherza.
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LA VRILLE

Hameau du Grangeon, 1
Verrayes (AO)
Tel. 0166 543018
Hervé 333 2393695
Lavrille.cave@gmail.com
www.lavrille.it

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