Un luogo speciale e un'esperienza coinvolgente tra la natura delle Dolomiti e i piatti d'autore di Riccardo Gaspari

Riccardo Gaspari e Ludovica Rubbini avevano un sogno nel cassetto e una malga a disposizione in un luogo incantato, dove di notte si possono veder brillare tanto le stelle quanto i lustrini, un posto che si raggiunge con un suv di grido ma pure passeggiando tra i boschi. Il loro progetto nel corso degli anni si è evoluto in modo naturale, permettendo a questa giovane coppia di crescere di pari passo una famiglia. Una volta una malga, con le mucche e le capre da portare al pascolo in alpeggio d’estate, pian piano si trasforma in caseificio, il Piccolo Brite, dove si munge, si caglia e poi si vende nello spazio di una filiera cortissima. 

Riccardo capisce che per realizzare il sogno che condivide con Ludovica dovrà dedicare parte delle sue energie a consolidare e ampliare le sue esperienze in cucina, così condividerà gamelle e mestoli in svariati ristoranti. Il San Brite (località Alverà - tel. 0436 863882) di Cortina (Bl) vede la luce nel 2017, all’inizio dell’estate: si tratta di un nuovo concetto di ristorazione in cui l’ospite viene coinvolto a 360 gradi nella genesi del piatto.

D’estate è possibile salire fino al pascolo e vedere le varie attività del casaro o assaporare una colazione sul prato con i prodotti freschi di giornata, tra erbe spontanee e leccornie in arrivo direttamente dal ristorante, tuffandosi dentro una realtà che oggi spesso si vive solo attraverso immagini, più o meno digitali. L’esperienza diventa un coinvolgimento sensoriale vero, tattile, visivo e olfattivo, senza scordare i rumori di campanacci, muggiti e belati.

D’inverno tutto si concentra invece ad Alverà, che resta il cuore pulsante del progetto. Al piano interrato del ristorante si producono ancora burro, ricotte e formaggi, questi ultimi stagionati con amore, passione e qualche esperimento dall’estro di Riccardo. Qui non ci si stanca mai di crescere perché, come metafora d’immortalità, la natura se ben trattata è senza fine.

La carta propone 6 antipasti, 6 primi e 6 secondi oltre a 3 percorsi di degustazione: 5 portate a 70, 7 portate a 90 e “Latteria” a 80 euro.
L’ambiente è caldo e accogliente, con dettagli che rivelano attenzione a concetti come bioedilizia e impatto zero e un gusto elegante senza fronzoli, in mezzo a particolari che ricordano il mondo del caseificio.

Il benvenuto dalla cucina è presentato in una cassettina di legno e contiene lo Stuzzichin: la pancetta laccata al miele, una brisé con crema di fegatini e nocciole tostate, la rapa essiccata con spuma di yogurt e polvere di rapa, una cialdina di pane con spuma di ricotta, mostarda di mele e cipolla, quasi una sintesi delle tappe del percorso che ci attende.

L’antipasto cattura lo sguardo con cromatismi d’effetto: lardo cotto nel miele, acqua di sedano, verdure croccanti e un granita di mela che servirà per sgrassare il palato se dovesse servire, in elegante equilibrio di consistenze e sapori. Nel frattempo, nell’attesa, non si può fare a meno di assaggiare un burro dal gusto ancestrale, servito con il pane di casa.
tortelli di fegato grasso di vitello danno una sferzata al palato e richiamano il fegato alla veneziana racchiuso in piccoli scrigni di pasta, un piacere che si abbina bene a una Malvasia. Delicato intermezzo un bicchiere di aceto madre, mela fermentata e miele per preparare la bocca ai piccoli gnocchi di patate ripieni di latteria stravecchio e mantecati al burro di malga: in tutti i piatti traspare l’importanza della materia prima come anello di giunzione con il territorio e ogni boccone si traduce in un ritorno ai sapori dell’infanzia.

Un Cabernet Sauvignon accompagna il Grostle fatto con la carne di scarto del bue, una spugna di cavolo nero e crema di yogurt. A seguire la Costola di bue brasata con purè di patate e spinaci, piatto forte di montagna.

Un pre-dessert riporta alla quiete delle cime dove la natura ha il sopravvento sull’uomo: è la “Perla delle Dolomiti”, con gelato al pino mugo e crema di abete guarnita con crumble di nocciole e mandorle. 

Riccardo e Ludovica vogliono esser certi che il messaggio del loro progetto sia ben compreso, così aprono le porte della loro “sala giochi”, il luogo dove tutto ebbe inizio, un vero e proprio scrigno, un tesoro avvolto da un profumo che prima raggiunge le nari e poi scivola intenso fino al palato. È qui che si compie la meraviglia di un burro difficile da dimenticare e di formaggi dall’anima ora morbida, ora fragrante di fieno. Il piatto, ancora tiepido, ci attende su un piccolo tavolo tra le forme sistemate con cura: è il Dolce di latte: un panino al formaggio con spuma di Latteria, pane cotto a vapore, tortino di ricotta e mostarda di pera e puccia croccante, conclusione che non poteva essere più sublime. 

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