Cronaca di una verticale storica del vino più iconico della celebre cantina valtellinese
È stata un’emozione partecipare alla degustazione di 14 annate di Sassella riserva Rocce Rosse di Arpepe, ovvero l’azienda del grande Arturo Pellizzati Perego, scomparso esattamente 20 anni fa, proprio il 10 di dicembre, data in cui si è svolta a Pollenzo, ospiti di Slow Wine, questa storica verticale.
Sul palco Isabella coi fratelli Emanuele e Guido detto Peppo, che hanno raccontato la loro storia attraverso 40 anni di un vino.
Che a loro volta hanno chiamato alcuni testimoni, fra cui Giacomo Mojoli, gran conoscitore della Valtellina, oppure Christoph Künzli oggi titolare dell’azienda la Piana di Boca, ma ai tempi di Arturo importatore di vini in Svizzera.
E fu lui a capire le potenzialità di questo vino, quando la Valtellina non era considerata fra i grandi territori italiani. Isabella ha poi citato Marco, di cui ricorda ancora l’espressione stupita quando assaggiò il Rocce Rosse a Vinitaly (proprio in chiusura, nell’anno 2004) che poi arrivò nelle finali dei Top Hundred. Paolo portò quel vino al pranzo di una conferenza stampa e su La Stampa, in un articolo uscito nel 2004, raccontò il silenzio dei commensali quando il vino fu versato e sprigionò un profumo intenso di viole, esempio raro di quando un vino fa dei racconti e irrompe con la sua qualità. Per quell’articolo ricevette una telefonata emozionante da Arturo, che con la voce flebile lo ringraziava per aver compreso la sua bottiglia, che non inseguiva le mode dei tempi dove il legno imperversava.
Del resto, Sassella vuol dire proprio “sassosa", a ricordare le origini di un territorio di montagna che fa la differenza con qualsiasi altro vino figlio del nebbiolo (o della chiavennasca, in dialetto ciuvenasca ossia vitigno con più vena, linfa, quindi più vigoroso, oppure ciu-vinasca, specie più adatta a diventare vino).
Un sorso spigoloso il 90, con tannini e acidità ancora in evoluzione.
Distesa l’annata 1996, ottimo il millesimo 1997, decisamente immediato nella sua pienezza, anche se il 1999 (altra annata classica e felice per tutte le espressioni di Nebbiolo di tutte le diverse zone) aveva una complessità un poco superiore con quelle note di canfora, frutto e roccia. Si sale di anni e di valore con un 2001 di piacevole equilibrio.
Ma qui la palma del miglior assaggio è andata senza indugio all’annata 2013, davvero grande, polputa, rotonda, di grande equilibrio ed eleganza, con una complessità gustolfattiva eccezionale.
Ghiotto e decisamente perfetto il sorso del Rocce Rosse 2016 (una goduria berlo ora con una carne succulenta), che promette grandi cose nella sua scalarità che va dal frutto rosso ampio ai tannini integrati e setosi.
Mentre la 2018, a questo punto, non poteva che prestarsi a essere l’annata giovane che con le sue note di violetta, fragola, lamponi, arancia sanguinella ed erbe aromatiche, la sua ferrosità, ancora deve farsi per completare la promessa, come è accaduto con tutte le altre annate, anche la 1984, che col tempo della nostra degustazione alla fine aveva quel carattere di liquirizia che faceva dimenticare quella che inizialmente abbiamo definito ossidazione.
Il viaggio nel cuore della Sassella continua!