Un itinerario unico che collega siti archeologici, ricette secolari e architetture ipogee, svelando l'anima più profonda e inaspettata della regione
“Turismo Sorprendente” è una definizione che, forse, non è ancora stata codificata fra i vari tipi di turismo, ma è quella che più si adatterebbe all’Abruzzo. Due gli elementi che contribuiscono a rendere questa regione un unicum: storia e geografia.
In quanto alla storia, il territorio abruzzese è da sempre punto di passaggio e di insediamento di civiltà diverse; in quanto a geografia, basti pensare che dal Gran Sasso al mare il viaggio può durare soltanto un’ora, con tutta la varietà di paesaggi e situazioni di pascoli, borghi, colline, castelli, pievi, eremi, uliveti e di vigneti che sta nel mezzo. E, poi, c’è la varietà di ricette e cucina, ciascuna con una sua cultura che concorre a implementare la cultura abruzzese. Stupirsi, in altre parole, non è difficile in Abruzzo. Da un luogo d’identità culturale spiccata, la necropoli di Campovalano, frazione di Campli in provincia di Teramo, emerge per esempio il collegamento fra alimentazione degli antichi Pretuzi e gastronomia di oggi.
Il ritrovamento di ossa di maiale e le testimonianze della lavorazione delle carni suine motivano la ricetta e la tradizione della Porchetta Italica di Campli, festeggiata dal 1964 in una sagra annuale che si svolge generalmente a fine agosto. Ma il sito ha anche rivelato le prassi di pastorizia, allevamento e caseificazione. La necropoli, che insiste su un terrazzo alluvionale a 400 metri sul livello del mare a una decina di chilometri da Teramo, non lontana dalla chiesa romanica di San Pietro (XII – XIV secolo), si estende su 50 ettari e ha come sfondo naturale i Monti Gemelli del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Non è, però, soltanto la natura a far da sfondo al luogo, che si trova sull’asse viario antico fra Teramo e Ascoli Piceno. Dalla necropoli si può ammirare la fortezza di Civitella del Tronto, una delle costruzioni a uso militare più imponenti della regione. L’individuazione della necropoli avvenne in modo casuale nel 1964, quando un agricoltore del posto, Luigi Cellini, lavorando i campi comprese che il sottosuolo stava restituendo qualcosa di straordinario e avvisò le autorità competenti. La prima campagna di scavi fu avviata nel 1967 e ne seguirono altre sette, sino all’inizio degli anni 2000. Sono attualmente 620 le sepolture individuate e studiate, risalenti a un arco temporale di 1000 anni, dall’Età del Bronzo finale sino al II secolo a.C. e a popolazioni differenti che si susseguirono.
I reperti sono oggi conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Campli. Le sepolture più numerose risalgono al periodo dal VII al V secolo a.C. Il defunto veniva sepolto in fosse di profondità media di 70 - 80 centimetri e la tomba era poi ricoperta con la terra dello sacavo, venendo a creare un tumulo. Intorno alla tomba erano disposte pietre in cerchio, probabilmente a scopo rituale per delineare il perimetro dell’abitazione dell’oltretomba. I corpi erano avvolti in sudari e spesso sepolti insieme con suppellettili, utensili, gioielli e, come nel caso della riproduzione del Tumulo n° 2 detto del “Re di Campovalano”, persino con un carro a due ruote. Nel sito archeologico esiste ancora un segmento di strada, probabilmente una strada sacra lungo la quale doveva svolgersi una sorta di funerale.
Tali corredi hanno consentito di analizzare come si articolasse la vita degli abitanti più antichi del posto, perlomeno nella fase sedentaria, comprese forme di allevamento e di lavorazione di prodotti agricoli.
Non meno interessante è la presenza nel Monastero di Santa Chiara di L’Aquila di un’edizione del 1570 dell’ “Opera” di Bartolomeo Scappi (1500 - 1577), uno dei più celebri cuochi del Rinascimento. Scappi lavorò per corti nobiliari, ma anche per quelle papali di Pio IV e Pio V. Il libro da lui scritto comprende circa mille ricette, ma anche numerose tavole che riproducono la cucina ideale, il cortile annesso alla cucina con le sue diverse sezioni, indicazioni figurate di come allestire un banchetto per un Conclave e anche di come organizzare un pasto all’aperto sull’erba, quello che oggi chiameremmo pic nic. Nel volume si trova per la prima volta la descrizione della forchetta.
In occasione dell’Educational Tour “Abruzzo Food Experience” organizzato da AbruzzoTravelling.com dal 19 al 23 maggio 2025 - con il contributo di Camera di Commercio Gran Sasso d'Italia (province di L'Aquila e Teramo) e Regione Abruzzo Dipartimento Turismo - Padre Luca del Monastero aquilano ha mostrato ai partecipanti l’ “Opera”, uno dei testi più preziosi conservati nella Biblioteca della struttura.
Il complesso religioso riserva anche altre sorprese, fra cui il recente rinvenimento dell’esistenza di laboratori di ceramisti a diversi metri sotto il piano di calpestio. La scoperta risale al 2009 e ai lavori di risanamento conseguenti al terremoto di quell’anno. La presenza di artigiani che creavano piatti, vasi e suppellettili varie in maiolica è da collocarsi con ogni probabilità fra il 1811 e il 1879, quando il convento fu abbandonato dagli ordini religiosi dopo la soppressione napoleonica.
Il complesso è molto antico: la sua origine è collocabile nell’ XI secolo ed è citato come monastero di suore clarisse nel 1333. Nel 1879 fu acquistato dai monaci cappuccini, che ancora lo abitano.
Sempre a L’Aquila, architetture sorprendenti che hanno a che fare con il cibo o, meglio, con la sua conservazione, sono le neviere, spazi ipogei realizzati per contenere neve destinata a trasformarsi in ghiaccio. Le neviere furono in uso in particolare dal XVII al XVIII secolo, ma alcune vennero realizzate anche in periodo medievale. La visita alle neviere è un approccio di percorso nello strato sotterraneo della città, dove abbondano cisterne e cunicoli, taluni ancora oggi inesplorati.
Si segnala il tour dell’Aquila sotterranea proposto da WelcomeAq (www.welcomeaq.com), che affianca al viaggio nella storia anche l’innovativo spostamento in superficie EcoTour, con navetta 100% elettrica.
La neve acquistata dagli Aquilani del passato era di due tipi: bianca, trasportata dalle montagne del Gran Sasso, pulita e quindi utilizzabile a contatto con il cibo, e nera, reperita in loco, e il cui ghiaccio era usato soprattutto per far calare febbri e infiammazioni. La prima, più costosa, era appannaggio di quanti potevano permettersi la spesa d’acquisto e conservazione, mentre la seconda risultava più accessibile al popolo. Oltre alle neviere private, esistevano neviere pubbliche regolamentate dalle autorità cittadine e con funzione soprattutto adiuvante in caso di malattie.