Diario (molto umano) dell’evento vitivinicolo più importante della Sicilia
Ogni anno, Sicilia en Primeur è più di un evento: è una dichiarazione d’intenti. Organizzato da Assovini Sicilia, promosso con il supporto di Just Sicily e ZedComm, SEP è il momento in cui l’isola chiama a raccolta il mondo del vino per raccontarsi. E non lo fa con slide e grafici, ma con ettari da calpestare, calici da svuotare e parole vere scambiate sul campo.
La XXI edizione, dal 6 al 10 maggio 2025, ha riunito oltre 100 giornalisti internazionali in diversi tour che partono dalle radici - letteralmente, le radici delle vigne - per arrivare ai pensieri più alti sul futuro del vino, dell’ambiente, dell’identità. Quest’anno si brinda con ottimismo a un’annata che si preannuncia interessante e fresca, con molte cantine che hanno già iniziato a parlare di equilibrio, tensione e ritorno alla verticalità.
Nei paragrafi che seguono, vi racconteremo un percorso fatto da territori, bottiglie e sguardi, quelli di chi il vino lo fa, lo vive e lo reinventa ogni giorno.
Si parte da Principi di Spadafora, dove più che raccontare il vino, si racconta il respiro della terra. In un’intervista che sembra un monologo da film neorealista, ci parlano della fatica buona, del vento che sposta le stagioni e di una visione organica che non è moda, ma scelta di vita. Ma c’è un’altra cosa che da sola racconta tutta la versatilità di questa terra: il Grillo. Qui lo trovi in tutte le sue forme – ed è incredibile. Metodo classico, vinificato in bianco, in versione orange, fino al passito. Ogni sfumatura è possibile, e ogni interpretazione riesce a restare credibile. Una poliedricità che altrove sarebbe forzatura qui è solo coerenza. A testimoniare la versatilità estrema del Grillo in queste terre, ci pensa una bottiglia che ha stupito tutti: il Grillo 2011. Un bianco che non ha paura del tempo, anzi, lo accoglie. Sapido, profondo, con una tensione che si è trasformata in complessità, attraversa note di erbe officinali e minerale come un vecchio Riesling, ma con l’identità ruvida e sincera della Sicilia occidentale.
E poi c’è Francesco Spadafora, con un gusto musicale raffinato e variegato che riecheggia in ogni angolo della cantina: ogni bottiglia sembra risuonare questa sua musica, e il messaggio è chiaro: il vino deve essere vino, senza decorazioni superflue. Chiaro, diretto, sincero. Accanto a lui, Enrica: nel suo guidarci tra vigne e pensieri, è stata una presenza luminosa. Si sta mettendo in gioco, lo fa con entusiasmo e visione, e negli occhi ha la stessa luce testarda e appassionata del padre. Un passaggio generazionale che profuma di continuità, ma anche di nuove sfide.
Si cambia registro con Alessandro di Camporeale, che unisce precisione tecnica e spirito di famiglia. Qui la produzione è meticolosa, dal Catarratto allo Syrah, e il legame col territorio è scritto nei dettagli: attenzione ai lieviti indigeni, gestione climatica delle annate difficili, e una forte spinta alla valorizzazione delle varietà autoctone.
Siamo a Camporeale, una zona collinare incastonata tra Palermo e Trapani, dove le vigne godono di esposizioni fresche, suoli compatti e ben drenati, e un’altitudine che regala grazia e acidità naturale. Il vino è pensato, rifinito, elegante. Ma anche qui, dietro ogni bottiglia, c’è un racconto di mani che lavorano la terra e menti che la studiano.
Nel cuore della DOC Monreale, il Nero d’Avola raggiunge un equilibrio sorprendente nella Vigna Mandriano 2019: un rosso che non cerca muscoli, ma precisione. Tannino fine, frutto scuro mai sovramaturo, una sapidità che dona ritmo e freschezza. È un vino che parla della Sicilia interna con rispetto, consapevolezza e un tocco di eleganza silenziosa.
Il progetto “Generazione Alessandro” ci ricorda che questa è un’azienda in divenire: i volti nuovi ci sono, e portano con sé la volontà di dare voce a un’identità solida ma in evoluzione.
Si prosegue con Feudo Disisa. La storia qui è lunga, fatta di grano, vigneti e Chiesa di Monreale sullo sfondo. Il paesaggio è vario, tra alture e valli che si aprono verso il mare. Siamo nella zona di Grisì, tra i 300 e i 500 metri di altitudine, su un suolo che cambia di metro in metro: calcare, argilla, sabbia. Una ricchezza che si traduce in precisione agronomica e grande varietà espressiva. Disisa ha saputo trasformarsi: da realtà di vino sfuso a protagonista della DOC Monreale, oggi porta nel bicchiere una visione moderna ma legata al territorio. Innovazione sì, ma con la pazienza di chi custodisce il passato. Catarratto e Grillo si elevano qui, anche grazie a vinificazioni sottrattive e scelte mirate di raccolta anticipata. La lezione che ci portiamo a casa è semplice: non basta esserci, bisogna volerlo davvero. E comunicarlo.
A guidare la mano enologica c’è Tonino Guzzo, che ha saputo interpretare al meglio le potenzialità del territorio, contribuendo a valorizzare i vitigni autoctoni e a esprimere al meglio le caratteristiche uniche del terroir di Monreale.
Tra le etichette più rappresentative, spicca Lu Bancu 2019, un Catarratto in purezza che prende il nome da un’antica leggenda popolare. Si narra infatti di un tesoro nascosto nel Feudo Disisa, mai ritrovato, che simboleggia la ricchezza e la profondità di queste terre. Il vino, fresco e armonico, è un omaggio a questa storia e al legame profondo con il territorio. Per l’occasione, la famiglia Di Lorenzo ci ha aperto le porte di casa, preparandoci una splendida cena. Sono rimasto sbalordito dall’energia di Maria Paola e Renato, che con entusiasmo e passione ci hanno raccontato la loro storia e condiviso la loro ospitalità. E poi Mario, il figlio, che con grande professionalità e umanità porta avanti il progetto di famiglia, con lo sguardo rivolto al futuro ma i piedi ben piantati nella sua terra. Un passaggio di testimone fatto di rispetto, visione e passione.
Pantelleria si racconta da sola. Ma Donnafugata riesce comunque a farti vedere cose che non avevi notato: le terrazze in equilibrio tra vento e pietra e i vigneti scolpiti nel vulcano. Tutto qui è sforzo e bellezza, raccolta eroica e selezione maniacale. Ma senza pesantezza: la tradizione si evolve se ha valore, dicono. E mentre ascolti, ti sembra che sia davvero così. Il vino è frutto di cura, resilienza e pazienza. E anche di poesia geologica. A Donnafugata c’è una voce che arriva prima del vino: è quella di José Rallo, capace di trasformare ogni racconto in musica, letteralmente. Il suo modo di accogliere è unico, fatto di presenza scenica e umanità vibrante, e condivide ogni sorso come fosse una nota da suonare. A completare questo affresco ci sono Antonio Rallo, il fratello e Baldo Palermo, enologo silenzioso e meticoloso, che lascia parlare il vino ma non lo lascia mai solo, e Laura Bertoni, mente lucida e appassionata, che dà forma e coerenza all’identità di Donnafugata con uno sguardo che tiene insieme poesia e strategia.
La giornata si chiude con il Giardino Pantesco. È un altro vino, stavolta quello della memoria: il Ben Ryé degustato nelle annate 2013, 2016, 2017 e 2022. Nettare d’ambra che profuma di fichi secchi, albicocca, miele e vento salato. Un passito che non si limita a essere dolce: ti prende per mano con l’aroma e poi ti sorprende con una vena salina che sa di Pantelleria vera, quella delle terrazze a secco, del sole a picco, del lavoro che non perdona e infine il tempo, che su quest’isola ti costringe a riconoscerlo.
Vinding Montecarrubo non è una cantina. È un’idea. O forse una follia nobile. Nascosta tra Siracusa e Noto, adagiata su un antico vulcano che guarda l’Etna e il Mar Ionio, è un luogo dove il vino è linguaggio, gesto, filosofia. Il suolo è un ex fondale marino con una barriera corallina fossile e terra vulcanica: un mosaico unico che si traduce in vini essenziali e magnetici. Qui non ci sono compromessi, solo microproduzioni e una visione che lavora per sottrazione. Il Grillo esalta un sentore di lavanda e aloe, il Syrah è balsamico, il blend è una sinfonia difficile da decifrare ma impossibile da dimenticare. Sono vini che ti chiedono tempo e concentrazione, ma poi ti restano addosso come il Vigna Grande 2019, syrah in purezza da suoli calcarei. Prodotto in numeri ridottissimi, è diretto, balsamico, verticale. Un vino che non fa sconti, che chiede attenzione e silenzio, ma che regala in cambio un sorso pieno di personalità: rosmarino, grafite, sole sulle pietre. Più che un vino, un’idea ostinata di autenticità. Dietro tutto questo, Peter Vinding-Diers, danese di nascita ma più italiano degli italiani per amore e dedizione. Al suo fianco la moglie Susie e Hans, il figlio, che con semplicità e coraggio ti guarda dritto negli occhi e ti racconta tutto senza dire troppo. Uno di quelli che diventano amici in un attimo, perché la sua umanità vale più di qualsiasi curriculum. Semplice e temerario, come i vini che difende.
Tre giorni. Cinque cantine. Un’idea forte e nitida di Sicilia. Quella che non urla ma ti resta sottopelle. Quella che parla con il vino, ma racconta molto di più.
Gli ultimi due giorni: parole, bicchieri e idee chiare
Dopo tre giorni passati tra vigne, con corse tra una cantina e l’altra e tramonti bevuti più che fotografati, il ritmo cambia. La carovana dei giornalisti si riunisce a Modica per l’ultima parte di Sicilia en Primeur 2025: due giorni in cui si parla (tanto), si degusta (ancora) e si ascolta (sì, anche con attenzione). Il vino rallenta, prende fiato, e smette di essere solo nel bicchiere. Diventa cultura. Strategia. Identità.
Il cervello beve prima di te (e tu nemmeno lo sai)
A rompere il ghiaccio al Castello dei Conti è Vincenzo Russo, guru del neuromarketing, che ci accompagna in un tasting multisensoriale. Cambiano le luci, la musica, il colore del tappo e, sorpresa, cambia anche il sapore. “Non è magia, è neuro-percezione”. E improvvisamente l’etichetta non è più solo un biglietto da visita, ma una chiave che apre zone precise del cervello. Il giudizio arriva dopo, prima c’è l’emozione.
Giovani, vino e comunicazione: ci parliamo davvero?
Adesso si fa sul serio. Il talk firmato Next Generation di Assovini va dritto al punto: perché il vino non riesce a parlare ai giovani? Francesco Saverio Russo ed Emanuele Gobbi buttano giù ogni formalità e ci parlano di influencer farlocchi, storytelling vuoti e produttori che ancora scrivono “fatto con amore” sulle etichette. Il punto è chiaro: il vino non è in crisi. È solo che spesso non parla la lingua giusta. Serve autenticità, fiducia e la voglia di raccontare non solo cosa si beve, ma chi c’è dietro.
Degustazioni tecniche: la bottiglia giusta al momento giusto
Poi si torna a fare quello che qui riesce meglio: assaggiare. Oltre 300 vini da tutta l’isola, selezione curata da AIS, e una certezza: la Sicilia ha mille voci, ma sa cantare in coro.
La Sicilia in bolla, che scoperta!
Cristo di Campobello con il Grillo Metodo Classico Extra Brut 2020 firma una bolla da standing ovation: croccante, elegante, lunghissima, già fra i Top Hundred di Golosaria.
Tenuta Gorghi Tondi sorprende con il Metodo Classico Brut Nature Rosé 2020 da pinot nero, minerale, fragolinoso, inaspettato.
Tenuta Ferrata affila il Metodo Classico 2021 da nerello mascalese come una lama pulita: pan brioche e sale, essenziale ed Etna-puro.
Bianchi da alzarsi in piedi
Etna superstar con il Carricante Rinazzo 2023 di Benanti, che sa di salgemma e incenso, e il Muganazzi 2023 di Graci, che porta in bocca zolfo e verticalità lavica. Poi arriva il Marsala Vergine 2011 di Duca di Salaparuta (Florio), che scompiglia tutto con le sue note iodate e il tocco ossidativo elegante. Il COS Zibibbo secco 2023, invece, è un fumé tropicale che gioca tra affumicature e fiori, mentre lo Chardonnay Jalé 2023 di Cusumano è un colpo di fioretto: preciso, sapido, millimetrico. Fil d’Oro 2023 di Valle dell’Acate, un frappato ancestrale rosato, tutto lampone e sale. Naturale, sincero, senza filtri, una botta di freschezza che non ti aspetti.
Rossi vulcanici e oltre
Il Barbagalli 2020 di Pietradolce è come scendere dentro un cratere: profondo, minerale, lunare. Girolamo Russo risponde con il San Lorenzo Piano delle Colombe 2022, elegante e struggente come un notturno. Palmento Costanzo con il Contrada Santo Spirito 2019 mostra un nerello austero e affusolato; Terra Costantino, con il Contrada Blandano Riserva 2019, è tensione ed equilibrio da manuale. Graci alza la posta con l’Arcuria “Sopra il Pozzo” 2022, radicale e verticale, mentre Alta Mora di Cusumano, con l’Etna Rosso Feudo di Mezzo 2020 gioca sulla purezza e sull’affondo balsamico. E infine Tasca d’Almerita, che con il Vigna San Francesco 2021, trasforma il Cabernet Sauvignon in un dialogo tra Bordeaux e Regaleali.
Dolci ma non troppo
Il Marsala Old John 2005 di Cantine Pellegrino è un piccolo trattato sull’ossidazione felice: scorza d’arancia, note amaricanti e profondità rara. Il Grillodoro 2020 di Tenuta Gorghi Tondi, da vendemmia tardiva di Grillo, è ambra liquida tra miele di castagno e sale, goloso ma mai stucchevole. Il Passito Êra di Baglio di Pianetto, da Moscato, chiude il sipario con agrumi canditi e vaniglia, come una playlist giusta al tramonto.
Il Teatro, la cultura, e quel bisogno di pensare un po’ di più
Gran finale al Teatro Garibaldi di Modica. Mariangela Cambria (presidente Assovini) apre parlando di radici e visione, mentre Andrea Lonardi lancia il “Fattore S” con 12 parole chiave per raccontare la Sicilia del vino: da sogno a sostenibilità. Sara Farnetti, medico e nutrizionista, rimette il vino al posto giusto nella dieta e nella vita: “Niente demonizzazioni. Solo consapevolezza”. Poi tocca a SOStain: bottiglie leggere, api, tracciabilità, e quel desiderio – finalmente concreto – di cambiare davvero.
Chiudo con un pensiero personale. In questi giorni ho visto tante realtà giovani prendere in mano il timone di cantine storiche, con la naturalezza di chi non solo eredita, ma costruisce. E quello che mi ha colpito di più non è stata la tecnica, o il prodotto in sé, ma la coesione. Il senso di appartenenza. Il fatto che questa nuova generazione, quando lavora insieme, sa essere potente.
Ho guardato questi giorni anche con un occhio rivolto al pubblico giovane, spesso percepito come lontano dal vino. E invece no. Quando ho sentito dire che la Sicilia giovane è pronta a rilanciarsi, non l’ho presa come uno slogan: ho pensato che è vero. Perché funziona il linguaggio dei giovani per i giovani. Funziona la voglia di raccontare, di incontrarsi, di condividere. E forse è proprio da qui che bisogna ripartire: da chi ha ancora voglia di crederci.