Uno strumento arcaico, messo fuori gioco dal Galateo ma tanto in voga nella New York anni Venti: l'amato odiato stecchino ha ben più del secolo che ufficialmente gli viene attribuito

"Lo vedi questo stecchino? Io te lo infilo nelle p.. e ci faccio uno spiedino!".
Questa è una delle battute più celebri di Jonny Stecchino, dove il premio Oscar Roberto Benigni è immortalato fin dalla locandina con l'immancabile stecchino tra i denti.
Johnny-Stecchino-locandina.jpgDel resto il legame tra lo stuzzicadenti e i gangster è dato quasi per assodato, come se fosse una specie di status symbol. Colpa di una cinematografia che, in realtà, non è tanto lontana dalla verità. A inizio Novecento negli Stati Uniti aprivano ristoranti, bar e night club sfavillanti, dove lo stuzzicadenti era diventato un oggetto indispensabile. Anzi, per un certo periodo, rappresentò un vero e proprio status symbol. Merito di un genio del marketing come l'industriale americano Charles Forster, che importò l'idea di questo strumento dall'Oriente e decise di crearne un mercato fiorente anche negli Stati Uniti. Per la produzione a livello industriale, infatti, fu costretto a riadattare una macchina per la produzione di chiodi: la modifica funzionò, ma la produzione di stuzzicadenti divenne fin da subito molto importante. Non restava che trovare i consumatori e qui Forster ebbe l'idea di ingaggiare attori che al ristorante chiedevano lo stecchino a fine pasto e, in mancanza, facevano una plateale scenata. Il trucco funzionò e ben presto chiedere lo stuzzicadenti a fine pasto divenne un segno di aver cenato in abbondanza. Anzi, farsi vedere fuori dai locali con lo stuzzicadenti in bocca significava mostrare ai passanti che si poteva avere abbastanza denaro da mangiare nei ristoranti più importanti.

In breve tempo ci fu chi, pur senza mangiare, si divertiva a girare con lo stuzzicadenti in bocca come simbolo di una certa opulenza. Insomma, lo stuzzicadenti come una macchina, una catena d'oro, un telefono extra lusso. Il lusso sfrenato però talvolta può diventare cafoneria: ed è così che in un attimo si passa dall'attore anni Venti in doppio petto a Verdone - Ivano in Viaggi di Nozze che si passa lo stuzzicadenti nel bel mezzo del matrimonio con la sua Jessica. Qui però siamo già negli anni Novanta e lo stuzzicadenti nel nostro Paese è già arrivato da un bel po' di anni, grazie all'imprenditore mantovano Enzo Lotti che nel 1957 fondò la Sis e iniziò a produrli comprando il pregiato legno di betulla di Hokkaido direttamente in Giappone che commercializzerà con il marchio Samurai diventato leader a livello italiano e internazionale. L'intuizione infatti fu, oltre a produrre un utensile di qualità, farlo diventare un attrezzo indispensabile per la cucina. Così stuzzichini, involtini, arrosti sono stati e sono tuttora infilzati dall'apposito "stecchino" di diversi modelli. Al legno di betulla poi, per la flessibilità e la resistenza al calore, si è affiancato ultimamente il bambù. Torniamo però all'inizio di questa storia, all'inventore dello stuzzicadenti, che non fu l'italiano Lotti e nemmeno l'americano Forster. Il suo nome infatti ci è tuttora ignoto. Ci sono infatti testimonianze che riportano ai Neanderthal l'usanza di impiegare stecchini di legno per pulirsi i denti. Potrebbero però non essere stati neppure loro gli inventori dello stecchino: esiste infatti un video diffuso dal Serra da Capivara National Park (SCNP) in Brasile che riprende una femmina di cebo barbuto intenta a compiere la sua igiene dentale con un ramoscello.
Un comportamento accomunato a quello di altri primati come gli scimpanzé di Mahale in Tanzania, dall'altra parte del mondo. Pulirsi i denti con uno stuzzicadenti quindi potrebbe essere un gesto primordiale che precede l’uomo. Insomma, non è giusto domandarsi quando è stato inventato lo stuzzicadenti. Piuttosto potete chiedervi: è nato prima l'uomo o lo stecchino?

Sotto, un particolare del dipinto “Le nozze di Cana”, di Paolo Veronese che rappresenta una donna intenta a pulirsi i denti con uno stuzzicadenti. Il quadro è conservato al Museo del Louvre di Parigi, fotografia di Pubblico Dominio su Wikipedia
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