Gianbattista Rigoni Stern racconta la Transumanza della pace, un'opera di ricostruzione sociale partita da Asiago e dalla Val Rendena per portare la rinascita nelle campagne di Srebrenica
A 30 anni dall’eccidio di Srebrenica, l’11 luglio 1995, il libro di Gianni Rigoni Stern che ha contribuito a ricostruire l’economia agropastorale sull’Altipiano bosniaco.
In questo libro edito da Comunica Edizioni (€ 15,00, pagine 160) l'autore narra in prima persona la sua esperienza nei luoghi della ex Jugoslavia tristemente famosi per essere stati lo scenario del tragico massacro di ottomila civili inermi che ebbe luogo nel luglio 1995.
È il racconto della ricostruzione di un territorio e di una comunità che ha preso forma nella transumanza della pace, un progetto di cooperazione che ha fatto rinascere il piccolo allevamento domestico di mucche nella zona di Srebrenica.
Il progetto ha preso vita dall'incontro con la regista Roberta Biagiarelli che da anni si occupa di quelle zone nella Bosnia-Erzegovina e le conosce bene: lo invita ad accompagnarla in uno dei suoi viaggi, nel 2009, e in quell'occasione Rigoni scopre una terra assolutamente simile al suo Altipiano di Asiago ma purtroppo ferma in un'altra epoca, devastata dalla recente strage, e bisognosa di rinascere dal punto di vista economico e sociale. Da qui la decisione dell'autore di iniziare un lavoro paziente: laureato in Scienze Forestali, esperto conoscitore di tutti i pascoli e boschi dell'Altipiano di Asiago, e già autore di diverse pubblicazioni in tema di malghe alpine e caseificazione, mette a disposizione il proprio sapere per educare un mondo contadino, apparentemente disordinato alle buone pratiche di allevamento.
“Per non dimenticare” è l'antefatto del testo che racconta i primi viaggi di Rigoni in queste zone, durante i quali individua la terribile felce aquilina, “un'infestante maledetta che si appropria alla svelta della cotica erbosa e per il bestiame, alla lunga, è pure velenosa”. Il viaggio della rinascita passa per i memoriali della devastazione raccolti presso gli abitanti del posto; l'inchiesta preliminare sulle condizioni di pascoli e territorio; fino all'operazione di formazione dei contadini locali; al racconto degli usi e costumi bosniaci, che l'autore ha potuto conoscere nei suoi cinquantaquattro viaggi sul territorio, e all'arrivo di manze, semi, macchine e stalle che coincide con la ricostruzione di una nuova filiera lattiero-caseario in un intreccio di rapporti umani e di lavoro che, leggendo questa storia, sembrano non aver confini.
Il lavoro di ricostruzione non è finito, ci sono difficoltà dovute alla mentalità delle genti bosniache, all'ambiente, alla burocrazia… Quel che è certo, per l'autore, è che “…lì dove sono stati seguiti i miei consigli, la felce aquilina io l'ho sconfitta”, a chiusura di questo libro e dell'esperienza raccontata in queste pagine, acquisendo la consapevolezza che, come ricorda nella postfazione il giornalista Paolo Massobrio che ha fortemente voluto questo libro ed è co-finanziatore del progetto, “esercitare la pace … richiede un lavoro costante”.