La storia di questo formaggio affonda le radici all’inizio del secondo millennio, quando i monaci cistercensi di Chiaravalle crearono un formaggio a pasta dura che resisteva a lungo e diventava ancora più gustoso e intenso con la stagionatura. Inizialmente chiamato 'caseus vetus' o 'cacio vecchio', venne successivamente connotato con il nome di 'grana' per l’aspetto caratteristico della sua pasta. Era il risultato di una nuova forma di agricoltura che, sfruttando i vasti prati padani, consentiva di ottenere grandi quantità di latte bovino. Trasformarlo in Grana Padano fu un modo geniale per conservarlo. Già agli inizi del XIII secolo, il 'formaggio di grana' era così pregiato che veniva utilizzato come merce di scambio e di pagamento, e nel Rinascimento era presente sulle tavole nobiliari di tutta Europa. Fino alla metà dell’Ottocento, la produzione del Grana Padano non subì sostanziali cambiamenti, ma con l’emergere dei caseifici come entità autonome e l’introduzione di strumenti moderni, la quantità di formaggio prodotto triplicò in breve tempo. Ai primi del Novecento, fu elaborato un protocollo per la produzione del Grana Padano e il 18 giugno 1954 nacque il Consorzio per la tutela del Formaggio Grana Padano, con l’obiettivo di vigilare sull’intera produzione nell’area indicata dalla legge, promuovendo e tutelando il prodotto sia in Italia che all’estero (sul sito del Consorzio sono elencati gli indirizzi dei caseifici che producono il Grana Padano). Il riconoscimento della Dop da parte dell’Unione Europea risale al 1996, e la commercializzazione avviene in base al rispetto di un rigido disciplinare che prevede un periodo di stagionatura di almeno 9 mesi. I principali tempi di stagionatura sono tre: da 9 a 16 mesi, oltre 16 mesi e 'Riserva', ossia oltre 20 mesi. Le differenze sono evidenziate dalla diversa marcatura a fuoco.